Un messaggio chiaro: «Si è rotta la fiducia con il Ppe. Raffaele Fitto non avrà i voti dei socialisti in commissione Affari Regionali. Non è un problema con l’Italia o con Fitto, ma un problema con l’estrema destra. Il pacchetto dei vicepresidenti è da cinque, quelli di S&D, Renew e Ppe. Se vogliono votare Fitto con un’altra maggioranza, lo votino». È quanto sottolineano fonti del gruppo dei Socialisti al Parlamento europeo. Una doccia gelata al termine di una giornata contraddistinta da stop and go, soprattutto da parte del Partito democratico, con la segretaria Elly Schlein che non ha risposto a Giorgia Meloni dopo che quest’ultima le aveva chiesto di sostenere Fitto come vicepresidente.
Lo scenario
Un ruolo che, a questo punto, non sembra scontato, nonostante le alchimie politiche a Bruxelles che dopo aver rinviato le votazioni sui candidati vicepresidenti avevamo messo in campo l’ipotesi di votarli tutti insieme lunedì. Poi, la chiusura di S&D il gruppo a cuoi aderiscono i dem italiani. Uno strappo che potrebbe compromettere anche la stessa presidente Ursula Von der Leyen, con la possibilità che resti seppellita dal braccio di ferro tra popolari, socialisti e liberali. A nulla è valso l’incontro che la leader dell’esecutivo Ue ha organizzato con Manfred Weber, Iratxe Garcia Perez e Valerie Hayer, i leader dei tre grandi gruppi della sua maggioranza. I socialisti non voteranno Fitto come vice presidente. Il Ppe, trascinato dalla delegazione spagnola, è pronto a strappare su Teresa Ribera. Sembra quindi che il gioco dei veti incrociati sia sfuggito di mano. Tra socialisti e popolari sono volate accuse via via più pesanti, fino al niet dei socialisti sul candidato pugliese che ha innescato un duro botta e risposta tra Meloni e l’europarlamentare Dario Nardella, il quale ha ricordato come «nel 2019 la premier era contro Paolo Gentiloni», dopo su X la presidente del consiglio aveva ruggito: «L’Italia secondo il Pd non merita la vicepresidenza».
Ursula in campo
A tarda sera sull’Eurocamera è scesa una coltre di incertezza. Con un punto fermo, però. La palla ora nelle mani di Von der Leyen. Lo sostengono i socialisti, lo argomentano i liberali, lo sussurra anche qualche popolare. A complicare il quadro ci sono le vicende politiche di Spagna e Germania. La prima alle prese con gli strascichi delle devastazioni di Valencia. La seconda prossima ad una tornata elettorale. La numero uno dell’esecutivo europeo probabilmente sarà costretta ad un giro di colloqui con le capitali. Provando a disinnescare l’ordigno delle dimissioni. Gli ipotetici piani B sono già partiti nei chiacchiericci belgi: con un nome su tutti e cioè quello di Mario Draghi, il quale mentre a Bruxelles la maggioranza Ursula si sbriciolava a Parigi cenava con Emmanuel Macron.