C’erano una volta gli studenti. Giù del 30% al Sud entro il 2041

Entro il 2041 il numero degli iscritti all’università diminuirà drasticamente, con dati particolarmente pesanti nel Mezzogiorno. In Puglia, Basilicata, Molise e Sardegna la diminuzione del corpo studentesco supererà il 30 per cento. Meno netto ma comunque grave il calo al Nord (-18,6%) e del Centro Italia (- 19,5%). Sono solo alcuni dei dati che emergono dal report stilato dall’Area Studi di Mediobanca che fotografano gli effetti del crollo demografico che interesserà l’Italia nei prossimi anni. Se da una parte diminuirà la popolazione, questa non verrà compensata con l’immigrazione. L’attrattività internazionale degli atenei italiani, infatti, resta molto scarsa soprattutto al Sud con solo il 2,5% di iscrizioni internazionali. E’ sul fronte interno, però, che il Mezzogiorno paga il conto più alto in termini di competitività visto che nell’ultimo decennio sono arretrate proprio le università del Sud (-16,7% di iscritti) e delle Isole (-17,1%), a fronte dei progressi di quelle del Nord Ovest (+17,2%) e del Nord Est (+13,4%).

Le infrastrutture che mancano da Roma in giù
La scelta di lasciare il Sud e le Isole dipende anche dai collegamenti che mancano e che rendono più complicata la vita degli universitari, soprattutto se fuori sede. Il tempo medio necessario per raggiungere i luoghi di studio nel Mezzogiorno, infatti, supera i 150 minuti, mentre la media italiana è di 88 minuti. Inoltre, si apprende sempre dal report di Mediobanca, la disponibilità di alloggi per gli studenti universitari è limitata: si stima che ci sia un posto ogni 9 studenti fuori sede, ma alcune stime indicano un rapporto di 1 posto ogni ventuno studenti. Tutti numeri che sarebbero motivati dagli scarsi investimenti: l’Italia investe per l’istruzione superiore solo l’1% del Pil, rispetto al 1,3% della media dell’Unione Europea e al 1,5% dei Paesi dell’Ocse. il nostro 1,5% in termini di spesa pubblica ci distacca dal 2,3% della Ue e dal 2,7% dell’Ocse. Lo Stato contribuisce alla spesa per la formazione universitaria per il 61% del totale, rispetto al 76% della Ue e al 67% dell’Ocse. La quota residua è per lo più sostenuta dalle famiglie: 33% in Italia contro il 14% della Ue e il 22% dell’Ocse.

Il fenomeno in espansione degli atenei telematici
Un altro fattore di indebolimento per gli atenei pubblici è la diffusione delle università online. Facilitano la vita abbattendo le distanze grazie alla tecnologia e sono cresciuti nell’ultimo decennio del +410,9%. Nel 2022 rappresentavano l’11,5% dell’intero corpo studente, a fronte dell’82% che studia in una statale e il 6,3% in una università privata tradizionale. Da notare che solo dieci anni prima la percentuale di coloro che optava per una laurea in un istituto pubblico era del 91%. Analizzando i dati di Mediobanca emerge anche un’altra particolarità che riguarda il Mezzogiorno. Chi non può permettersi di fare la valigia e andare a studiare al Centro-Nord, sempre più spesso opta per una università telematica. Vive da Roma in giù, infatti, il 42,8% degli iscritti.

Quanto costa studiare
Le tre categorie di università, pubbliche, private e online, hanno tariffe di iscrizione molto diverse che il report dell’Area Studi di Mediobanca prova a mettere in fila: si va dai 1.374 euro in media richiesti dalle università pubbliche ai 2.147 euro delle università online, fino ai 7.447 euro delle università private tradizionali.

Nel 2022, le pubbliche hanno generato entrate operative per un totale di 14,3 miliardi di euro, così suddivise: il 22% proveniente da entrate proprie (tariffe di iscrizione e ricavi dalla ricerca), il 73,4% da contributi, la maggior parte dei quali provenienti dal Ministero dell’Università, e il restante 4,6% da altre fonti di ricavo. In totale, questo ammonta a 8.900 euro per studente.

La voce di spesa più significativa è quella del personale, che rappresenta il 51,4% delle entrate operative (37,2% per il corpo docente e 14,2% per il personale tecnico-amministrativo). Tra le altre spese correnti, vanno segnalate quelle relative al sostegno agli studenti e al diritto allo studio (15,3%).

Il sistema delle università pubbliche, con costi operativi pari a 13,1 miliardi di euro (8.200 euro per studente), registra un margine Ebit pari all’8,3% delle entrate operative e un risultato netto positivo che rappresenta il 5,6% (circa 800 milioni di euro). Questo è quanto afferma l’area Studi Mediobanca in un rapporto sulle università.

È importante ricordare che le università pubbliche nel 2022 hanno destinato oltre un miliardo di euro a investimenti, pari al 7,1% delle entrate operative, di cui 831,3 milioni per investimenti materiali e 177,5 milioni per investimenti immateriali. Il loro bilancio patrimoniale ammonta a 31,2 miliardi di euro. Il patrimonio materiale si avvicina ai 10 miliardi di euro e rappresenta il 31,9% dell’attivo totale.

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