Sfoglia il giornale di oggi
SEZIONI
SEZIONI
Accedi
Registrati
Bari
Sfoglia il giornale di oggi Abbonati

Cecilia Sala racconta in un podcast la sua esperienza nel carcere di Evin a Teheran

A poche ore dal rientro in Italia Cecilia Sala non si nasconde dietro la stanchezza e la fatica accumulate dalla sua esperienza nel carcere di Evin a Teheran dove è rimasta dal 19 dicembre al 7 gennaio. Appena il tempo di disfare le valigie che è ospite del podcast "Stories" di Mario Calabresi. Tre settimane…

A poche ore dal rientro in Italia Cecilia Sala non si nasconde dietro la stanchezza e la fatica accumulate dalla sua esperienza nel carcere di Evin a Teheran dove è rimasta dal 19 dicembre al 7 gennaio. Appena il tempo di disfare le valigie che è ospite del podcast “Stories” di Mario Calabresi.

Tre settimane dominate dall’immobilismo che permea la cella, interrotto solo dagli interrogatori che, almeno nei primi giorni sono stati insistenti. Neanche chiudere gli occhi per riposare è semplice: la luce della cella è sempre accesa e questo non fa che pesare sulla resilienza di chi viene rinchiuso lì dentro: «Avevo delle coperte, non avevo cuscini o materassi. Mangiare? Mangiavo tanto riso, nel riso c’erano lenticchie, carne. Il problema non è stato mangiare ma dormire».

Il motivo del suo arresto? Ancora ignoto e sembra che neanche a lei sia stato rivelato: «Non mi è stato spiegato perché io sono finita in una cella di isolamento nel carcere di Evin», e quando qualche risposta è stata abbozzata non è sembrata convincente.

«Mi hanno risposto: di tante azioni illecite e in tanti luoghi diversi. Avevo letto la notizia poco prima del fatto che c’era stato un arresto in Italia e ho pensato tra le ipotesi che potesse essere quello il motivo, che potesse esserci l’intenzione di usarmi. L’ho pensato dal principio, ho preso in considerazione anche altre ipotesi però avevo chiara questa ipotesi e pensavo che fosse uno scambio molto difficile».

Tutto è iniziato quando si trovava nella stanza del suo hotel, lavorando al suo prossimo servizio. A un certo punto qualcuno ha bussato, presentandosi come gli addetti delle pulizie. A poco a poco il bussare si è fatto più insistente e quando la giornalista ha aperto si è trovata avanti degli agenti della polizia islamica. «Ho capito dalle prime domande che non sarebbe stato breve».

Tra l’impossibilità di dormire e gli interrogatori era molto il tempo di inattività che poteva essere utilizzato per l’attività più banale. «Io non vedo senza gli occhiali e non me li hanno mai dati fino agli ultimi giorni, perché sono pericolosi, puoi spaccare il vetro e usarli per tagliarti.

Non ho potuto scrivere, non mi hanno dato una biro per lo stesso motivo. Però non mi hanno dato neanche le lenti a contatto. Ho chiesto il Corano in inglese perché pensavo fosse l’unico libro in inglese che potessero avere in una prigione di massima sicurezza della Repubblica islamica, ma non mi è stato dato per molti giorni»

ARGOMENTI

carcere evin
cecilia sala
Podcast

CORRELATI

Attualità, Italia","include_children":"true"}],"signature":"c4abad1ced9830efc16d8fa3827ba39e","user_id":1,"time":1730895210,"useQueryEditor":true,"post_type":"post","post__in":[402091,402034,401963],"paged":1}" data-page="1" data-max-pages="1">
array(3) {
  [0]=>
  int(402091)
  [1]=>
  int(402034)
  [2]=>
  int(401963)
}

Lascia un commento

Bentornato,
accedi al tuo account

Registrati

Tutte le news di Puglia e Basilicata a portata di click!