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Campi Flegrei, oltre 100mila anni fa l’eruzione più potente: lo studio dell’UniBa

Oltre centomila anni fa si è verificata una delle eruzioni più potenti nell’area dei Campi Flegrei. È quanto hanno scoperto i ricercatori del Cnr-Igag (l’Istituto di Geologia ambientale e Geoingegneria del Consiglio nazionale delle ricerche), dell’Università La Sapienza di Roma e dell’Università degli studi “Aldo Moro” di Bari.

Lo studio, dal titolo “The Maddaloni/X-6 eruption stands out as one of the major events during the Late Pleistocene at Campi Flegrei“, è stato recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Communications Earth and Environment di Nature.

Si tratta di una scoperta importante poiché, spiegano i ricercatori, la conoscenza approfondita della storia eruttiva nell’area potrà migliorare la valutazione dei rischi vulcanici associati. I Campi Flegrei sono, infatti, un complesso vulcanico attivo, circondato da aree urbane ad alto rischio.

Tra i più studiati al mondo, la loro storia eruttiva è ben documentata solo per gli ultimi 40mila anni. Il nuovo studio, però, rivela che 109mila anni fa si verificò un’eruzione di magnitudo 7.6, simile all’Ignimbrite Campana, la più grande eruzione dell’area mediterranea.

«Le ceneri come le impronte digitali e il Dna»

«Nell’area dei Campi Flegrei, le testimonianze geologiche dell’attività più antica sono difficilmente accessibili perché giacciono in profondità nel sottosuolo, sotto notevoli spessori di rocce vulcaniche più recenti», spiegano Gianluca Sottili e Giada Fernandez, della Sapienza Università di Roma. La ricostruzione dell’intera storia eruttiva del vulcano, sottolineano, «è tuttavia cruciale per evidenziare alcuni parametri fondamentali per la definizione della sua pericolosità, quali la frequenza e la magnitudo degli eventi eruttivi».

Lo studio delle ceneri prodotte dalle grandi eruzioni depositate in aree remote rispetto al vulcano, dunque, offre la possibilità di «estendere molto indietro nel tempo lo studio della storia eruttiva di un vulcano, consentendone una ricostruzione più completa».

Biagio Giaccio, del Cnr-Igag, spiega che alcune proprietà stratigrafiche, chimiche e cronologiche dei livelli di cenere rinvenuti in alcuni sedimenti marini o lacustri, anche a migliaia di chilometri dal vulcano – proprio come le impronte digitali o il Dna – «possono consentire agli scienziati di identificare la sorgente vulcanica e, in alcuni casi, persino il singolo evento eruttivo che le ha prodotte» attraverso «la datazione e l’analisi chimica dei micro-frammenti di pomice, di cui è costituito il materiale vulcanico trasportato dal vento in aree lontane».

Attraverso l’analisi dei dati già a disposizione e modelli di dispersione delle ceneri vulcaniche, «abbiamo potuto ricostruire la dinamica e la magnitudo dell’eruzione», aggiunge Antonio Costa dell’Ingv, ottenendo così «le stime di alcuni parametri fondamentali, come, ad esempio, il volume del magma eruttato e l’altezza della colonna o nube, di cenere e gas».

L’approccio multidisciplinare

Attraverso questo approccio multidisciplinare, comunemente applicato a eruzioni recenti le cui tracce sono chiaramente documentate intorno al vulcano, i ricercatori hanno ricostruito i principali parametri eruttivi di un’antica eruzione Flegrea di 109mila anni fa, denominata “Eruzione di Maddaloni“, pressoché inaccessibile nell’area del vulcano ma ben documentata dalle ceneri depositate in aree remote, note con la sigla “X-6” e rinvenute in un’ampia area del Mediterraneo, dall’Italia centrale fino alla Grecia.

«Il fatto che questo sistema vulcanico abbia prodotto diverse grandi eruzioni nel corso della sua storia suggerisce che la struttura della caldera, la depressione vulcano-tettonica che si forma durante grandi eruzioni a seguito del rilascio di un ingente volume di magma in superficie, potrebbe essere molto più complessa di quanto ipotizzato finora», conclude Jacopo Natale dell’Università Aldo Moro di Bari.

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