Lutto nel mondo del calcio. È morto a 84 anni Giovanni Galeone. Ex allenatore – tra le altre – di Napoli, Udinese, Pescara e Perugia, era malato da tempo ed è deceduto nell’ospedale “Santa Maria della Misericordia” di Udine, dove era ricoverato.
Galeone è nato a Napoli il 25 gennaio del 1941, da allenatore ha conquistato quattro promozioni: due a Pescara, una a Udine e una a Perugia.
Galeone – che da calciatore (era un centrocampista) ha indossato le maglie di Ponziana, Monza e Udinese fino al 1974 – ha allenato anche Como e Spal.
Il suo 4-3-3 è stato un modello per tanti. Si è ritirato nel 2013. A Pescara è leggenda, basti pensare che la stazione dei treni fu inaugurata alla sua presenza. Ha avuto rapporti burrascosi con i suoi presidenti: grande freddezza con Scibilia e molto teso con Gaucci. È stato il maestro di Massimiliano Allegri.
La storia di Galeone nel calcio comincia da giocatore con una carriera che lo porta a indossare diverse maglie tra Serie B e Serie C, ma è da allenatore che diventa un nome riconoscibile, amato e discusso.
Dopo il ritiro, muove i primi passi in panchina nelle categorie minori, tra Adriese e Pordenone, prima di approdare al settore giovanile dell’Udinese. Da lì parte una lunga avventura fatta di idee, di calcio propositivo e di una certa insofferenza verso i compromessi. Galeone diventa il simbolo di un modo di intendere il calcio come espressione di libertà: il pallone deve girare, la squadra deve attaccare, il gioco deve essere pensato ma anche coraggioso.
Le sue stagioni più memorabili sono quelle a Pescara, dove conquista due promozioni in Serie A e regala alla città abruzzese anni di entusiasmo e spettacolo. Quel Pescara, con giocatori come Junior, Pagano, Gasperini e Allegri, è ricordato come una delle formazioni più belle e visionarie mai viste fuori dalle grandi piazze.
Galeone non si accontentava del risultato: voleva che le sue squadre giocassero un calcio che divertisse, che sorprendesse, che avesse personalità. Ha allenato anche l’Udinese, il Perugia, il Napoli e l’Ancona, ma ovunque è passato ha lasciato un segno più umano che tattico. Era un allenatore anticonformista, capace di affascinare i suoi giocatori con il discorso giusto, di difenderli pubblicamente e di sfidarli in allenamento. Amava la parola più della lavagna, il paradosso più della convenzione.
Fu anche un personaggio mediatico, diretto e ironico. Non risparmiava critiche, né alle società né agli allenatori. Le sue battute, spesso fulminanti, hanno attraversato decenni di calcio italiano: «Il portiere è un optional», diceva sorridendo, per spiegare quanto contasse per lui l’idea di costruire gioco fin dal primo passaggio. Negli ultimi anni aveva continuato a commentare con lucidità il calcio moderno, restando fedele alla sua visione: il gioco come pensiero, come estetica, come rischio.










