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Britti: «Il mio blues ha ancora qualcosa da dire. L’autotune? È una grande paraculata» – L’INTERVISTA

Cambia tutto per non cambiare niente. Alex Britti torna sul palco con Feat.Pop, un progetto che rilegge - senza nostalgia e senza reverenza - le tracce del suo album d’esordio It.Pop insieme a voci come Marco Mengoni e Clementino. «Collaborare è parte dell’arte», dice lui. Nessun revival, nessuna operazione commerciale: solo nuove traduzioni di un…
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Cambia tutto per non cambiare niente. Alex Britti torna sul palco con Feat.Pop, un progetto che rilegge – senza nostalgia e senza reverenza – le tracce del suo album d’esordio It.Pop insieme a voci come Marco Mengoni e Clementino. «Collaborare è parte dell’arte», dice lui. Nessun revival, nessuna operazione commerciale: solo nuove traduzioni di un suono che continua a girare intorno alla chitarra. Questa sera lo si potrà ascoltare a Capurso, in provincia di Bari, ospite del Multiculturita Summer Festival, mentre domenica sarà a Pieve di Cento, nel bolognese, per la rassegna Maccaferri.

Con Feat.Pop torna a confrontarsi con le canzoni del suo esordio. Che esperienza è stata per lei? Si misurato col tempo che passa?

«Interessante, soprattutto perché l’ho fatto insieme a colleghi che stimo. Collaborare con altri artisti fa parte dell’arte stessa. Non si tratta di misurarsi col tempo, ma con amici che fanno musica in modo diverso da me. Ed è proprio questo il bello: mettersi insieme, come si fa nel jazz o in tante altre forme musicali».

Tornando su quei brani, ha riscoperto qualcosa che pensava di aver dimenticato?

«No, perché quelle canzoni non le ho mai davvero messe da parte. Fanno parte del mio repertorio da sempre, le suono spesso dal vivo. Non è stato un ritorno nostalgico, non ho aperto un cassetto dei ricordi: sono brani vivi».

La chitarra resta al centro anche in questo progetto?

«Sempre. Non parlo necessariamente di assoli, ma dell’uso della chitarra per accompagnare, per costruire un’identità sonora. È come se stessi traducendo in una chiave più blues, più “suonata”, tutto ciò che ho fatto in carriera».

Ha duettato con artisti come Mengoni e Clementino. Queste collaborazioni le hanno insegnato qualcosa su se stesso?

«Su di me no, direi che mi conoscevo già abbastanza. Ma lavorando insieme si scoprono nuovi lati degli altri: quando si crea un’intimità artistica vera, emergono aspetti personali e musicali che nei dischi non si colgono».

C’è stato qualche episodio curioso durante le registrazioni?

«Nulla di inedito. È tutto già documentato, tra video, stories e dietro le quinte».
Come si colloca oggi nel panorama musicale italiano, che è cambiato molto e continua a evolversi?
«Non mi pongo il problema. Faccio la musica che sento di fare, senza voler appartenere a gruppi, generi o correnti. Non sono interessato a “collocarmi”».

C’è qualcosa del pop contemporaneo che la incuriosisce o le piace davvero?

«Mi affascina molto il mondo del rap. Oggi è un universo vero, solido, non più solo imitazioni. Apprezzo artisti come Salmo e Marracash. E anche nel cantautorato c’è qualcosa di fresco: penso a uno come Alfa, mi colpisce per stile e scrittura».

Che opinione ha dell’autotune?

«Penso che ognuno debba fare come crede. Per me è un limite, una scorciatoia. Se viene usato come effetto diventa uno strumento. Ma se serve solo a correggere l’intonazione, è una paraculata».
C’è un brano o un arrangiamento che col tempo non la convince più?
«Sì, certo. In ogni album ci sono brani che col senno di poi avrei lasciato fuori. Quando sei immerso in una fase creativa, ti lasci trasportare. Alcune cose restano, altre si perdono. Fa parte del processo».

Sta pensando a un ritorno a Sanremo?

«Ci pensano più il mio ufficio stampa e la casa discografica. Io scrivo per me, e se serve promozione la faccio. Sanremo oggi è soprattutto una vetrina promozionale. C’è la musica certo, ma anche molto altro: comici, moda, attualità. È sempre stato così».

La gara ha ancora senso, secondo lei?

«No. La vera vittoria non è una classifica. È quando un brano resta nella memoria delle persone. Io nel ’99 ho vinto tra i giovani, ma la vittoria vera è che 7000 Caffè vive ancora: ci sono bar e negozi che oggi portano il nome della mia canzone. Questo per me è il segno che un brano ha vinto davvero».

Si parla molto di chi preferisce i club e chi gli stadi. Qual è il suo palco ideale?

«Mi piace portare la mia musica dove il pubblico è venuto per scelta. Se suono per mille persone e metà sono stati invitati non mi diverto. Mi emoziona il pubblico che compra un biglietto per ascoltarmi. Quella è la dimensione giusta».

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