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Autonomia differenziata, ecco perché il quesito referendario è inammissibile

Risulta oscuro “l'oggetto" del quesito referendario che "originariamente riguardava la legge e ora riguarda quel che resta della stessa legge" per le "numerose e complesse modifiche "apportate dalla sentenza numero 192 del 2024”. Sono queste in sintesi le motivazioni, depositate ieri, con cui lo scorso 20 gennaio la Consulta aveva definitivamente fatto tramontare l’ipotesi di…
manifestazione contro l'autonomia differenziata

Risulta oscuro “l’oggetto” del quesito referendario che “originariamente riguardava la legge e ora riguarda quel che resta della stessa legge” per le “numerose e complesse modifiche “apportate dalla sentenza numero 192 del 2024”. Sono queste in sintesi le motivazioni, depositate ieri, con cui lo scorso 20 gennaio la Consulta aveva definitivamente fatto tramontare l’ipotesi di una consultazione popolare sull’autonomia differenziata.

Le motivazioni

“Oggetto e finalità non risultano chiari”, le tesi avallata dalla Corte Costituzionale, principalmente fondata sulla recente pronuncia della stessa Consulta sulla legge Calderoli – in accoglimento dei ricorsi di quattro Regioni guidate dal centrosinistra – che ha “profondamente inciso sull’architettura essenziale” della riforma, comportando “il trasversale ridimensionamento dell’oggetto dei possibili trasferimenti alle Regioni (solo funzioni e non materie), nonché la paralisi dell’individuazione” dei Lep. Una situazione che per i giudici “pregiudica la possibilità di una scelta libera e consapevole da parte dell’elettore, che la Costituzione garantisce”.

Il rischio

Il rischio, per i magistrati, è che il referendum “si risolva in altro” ossia nel far esercitare un’opzione popolare “a favore o contro il regionalismo differenziato”. Una pronuncia ben accolta dal ministro Roberto Calderoli che si è detto «contento del fatto che abbia ribadito che sulle materie non Lep si possa procedere, alla luce di quelle che sono le indicazioni della Corte». Per il presidente del Veneto, Luca Zaia, da sempre promotore dell’Autonomia, riconosce «la piena coerenza» della riforma. «È un pronunciamento netto – aggiunge – che smonta qualsiasi tentativo di strumentalizzazione politica e riafferma che le regole non si piegano a logiche di parte».

Le reazioni

Di parere opposto i rappresentanti del M5S nelle commissioni Affari Costituzionali della Camera e del Senato: «Le argomentazioni esposte dalla Corte Costituzionale confermano ancora una volta che la legge Calderoli Spacca-Italia di fatto non esiste più – dicono – ne sono stati spazzati via i pilastri fondamentali e gli obiettivi assurdi, iniqui e pericolosi che avevano spinto il governo Meloni a scriverla e a farla approvare dalla sua maggioranza». Sulla stessa linea il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari: «Di fatto – dice – la legge Calderoli, anche grazie alla mobilitazione straordinaria che è stata messa in campo, non esiste più. Per questo stupisce l’esultanza di chi chiedeva il trasferimento di tutte e 23 le materie previste dalla riforma del Titolo V». Depositate ieri anche le sentenze sugli altri cinque referendum, tutti ammessi dalla Corte Costituzionale: quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza. In particolare, viene considerato «omogeneo, chiaro e univoco» il quesito in materia di cittadinanza che punta ad abbassare da 10 a 5 anni i tempi per i cittadini extracomunitari per ottenere la cittadinanza italiana.

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