Tramonta l’era della Televisione. Non è più il principale mezzo di informazione per gli italiani: uno su due (il 52,4%), utilizza infatti la rete per stare al passo con le notizie tramite motori di ricerca, social media e siti web/app di quotidiani e periodici che sono diventate le principali fonti di accesso all’informazione.
Tuttavia tv, radio e carta stampata rimangono fonti ritenute più affidabili rispetto a social network e piattaforme. Anche per questo l’Autorità per le comunicazioni, che ieri ha presentato in Senato la Relazione annuale sulla sua attività, introdotta dal presidente Giacomo Lasorella, punta a introdurre delle norme che equiparino il campo da gioco delle grandi piattaforme e della tv, dalla rilevazione degli ascolti ad alcune regole della par condicio come quella sul silenzio elettorale.
I nodi
Il presidente ha rilevato infatti la necessità di pervenire in tempi rapidi a una piena e completa rilevazione, secondo un metodo condiviso da tutti i soggetti del mercato, anche degli ascolti delle piattaforme digitali; inoltre sarebbe «necessario un intervento legislativo che estendesse espressamente la disciplina del silenzio elettorale anche a loro. «Del resto la portata dei fatturati è significativa: i ricavi pubblicitari delle piattaforme sono aumentati in 7 anni del 250%, passando da quasi 2 miliardi nel 2016 a circa 7 miliardi di euro nel 2023».
Di qui la crescita, nel Sistema integrato delle comunicazioni (SIC), del peso di attori come Alphabet/Google, Meta/Facebook, Amazon e Netflix, accanto ai soggetti tradizionali quali Rai, Comcast Sky, Fininvest, Discovery e Cairo Communication.
L’editoria
Viceversa, sul fronte dell’editoria la crisi è strutturale: anche se circa 11,2 milioni di persone leggono almeno un quotidiano in un giorno medio, nel 2024 la diffusione media giornaliera pagata è stata pari a 1,7 milioni di copie (cartacee e digitali), in calo del 6,7% rispetto al 2023. Se le entrate complessive dei media mostrano un aumento del 3,2% nel 2024 rispetto all’anno precedente (oltre i 12 miliardi di euro), l’incremento si deve principalmente all’aumento dei ricavi da contenuti a pagamento (+4,3%), soprattutto per la televisione online, che ha compensato il calo nelle vendite di copie di quotidiani e periodici. Anche i ricavi pubblicitari hanno registrato una crescita (+2,6%), grazie alla performance di tv e radio, così come i fondi pubblici (+1,7%), per lo più derivanti dal canone Rai.
Nel complesso il settore televisivo ha superato gli 8,8 miliardi di euro, registrando un incremento del 7,3% rispetto al 2023. Il risultato è attribuibile principalmente a due fattori: la crescita della raccolta pubblicitaria (che mantiene un’incidenza del 35,8% sui ricavi complessivi) e, con maggior impatto, il marcato aumento degli introiti generati dalla vendita di abbonamenti e contenuti sui canali tradizionali e online. La quota maggiore delle risorse economiche complessive (56,3%) rimane appannaggio del mercato della televisione in chiaro che, nel 2024, vale quasi 5 miliardi di euro, in aumento rispetto al 2023 (+4,5%).
Il segmento della televisione a pagamento, tuttavia, presenta una crescita più accentuata (+11,2%), raggiungendo ricavi totali che si avvicinano ai 3,9 miliardi. In questo scenario, a giudizio di Lasorella il compito dell’Authority è duplice: «accompagnare la trasformazione dei settori tradizionali alla luce della rivoluzione digitale e contribuire a regolare e, al tempo stesso, favorire lo sviluppo armonico dei nuovi servizi digitali su cui la chiave è la cooperazione fra istituzioni».