24 febbraio 2022. Un mese di guerra in Ucraina

Il 24 febbraio, un mese oggi, iniziava l’attacco russo all’Ucraina. Quella che doveva essere una sorta di “Guerra dei 6 giorni”, quella che si combatté in Medio Oriente tra il 5 e il 10 giugno 1967 tra Israele da una parte e Giordania, Egitto e Siria dall’altra, si sta rivelando per Putin una palude ben più grave ed insidiosa: il rischio che l’Ucraina possa diventare, per l’Armata Russa, un nuovo Afganisthan o addirittura una sorta di Vietnam, con il passare dei giorni diventa sempre più concreto. Di certo il Presidente russo ha fatto male i suoi conti, o perché mal consigliato (non a caso sono già scattate le “epurazioni”) o perché convinto del proprio strapotere. Molti, ad oggi, gli errori commessi, a partire dal non aver considerato che le dimensioni dell’Ucraina (oltre 600.000 km2 con una popolazione, prima dello scoppio del conflitto, di circa 40ML di abitanti) avrebbero richiesto un impiego di uomini e mezzi ben più massiccio. Fatto, questo, strettamente collegato alla “resistenza” del popolo ucraino: mai avrebbe pensato che il Presidente Zelenskji sarebbe stato in grado di tenere unito il proprio popolo al punto e avere un esercito così motivato e senza paura. Per non parlare dell’unità di tutto l’Occidente, dall’Europa agli USA, ma anche di gran parte del mondo, andando ben oltre l’alleanza NATO (basti pensare che la delibera dell’ONU contro l’invasione è stata votata da 141 Paesi, mentre solo 5 (tra cui la stessa Russia) hanno votato a favore.

A distanza di un mese, le conseguenze di una delle Guerre probabilmente più strumentali che si ricordino, sono sotto gli occhi di tutti. Da un punto di vista umanitario, i profughi ucraini ormai hanno superato i 3 milioni, diretti soprattutto verso la Polonia, mentre gli sfollati, i cittadini costretti ad abbandonare le città in cui vivevano, sono oltre 2 milioni. Da un punto di vista economico, l’Ucraina, uno dei Paesi più poveri d’Europa, con un reddito pro-capite pari a circa $ 13.000, è oramai in ginocchio: con la distruzione dell’impianto siderurgico di Arzvostal, uno degli stabilimenti più grandi d’Europa, si calcola che il Paese abbia perso complessivamente circa il 30% della propria ricchezza produttiva. Molte città sono ormai ridotte in macerie (Mariupol, sul mar d’Azov, è una città fantasma), e il conflitto si è diffuso in tutte i principali centri del Paese.

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