Il vaiolo delle scimmie sta spaventando anche in Italia. È di ieri la notizia del primo caso di vaiolo delle scimmie in Toscana, il quarto in Italia. All’ospedale San Donato di Arezzo è ricoverato un uomo di 32 anni rientrato da una vacanza alle isole Canarie. Inoltre, in Lazio «ci sono 15 persone in isolamento, mentre i casi restano tre e si tratta di tre persone ricoverate allo Spallanzani in buone condizioni cliniche». La dichiarazione è dell’Assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato. Le 15 persone in isolamento sono contatti dei tre contagiati ai quali si è risaliti con il contact tracing.
A fare chiarezza sui molti dubbi che sono sorti in merito all’infezione, ci ha pensato Roberto Burioni, ospite a “Che tempo che fa”: «Dobbiamo partire dalla differenza fondamentale tra questa malattia e il Covid. Il Covid è causato da un virus nuovo, che non avevamo mai visto, mentre il virus che causa il vaiolo delle scimmie è vecchissimo. Lo conosciamo dal 1958 e il primo caso umano si è registrato nel 1970. Questo virus, per come lo conosciamo finora, possiamo considerarlo il cugino, molto più buono, del vaiolo», spiega Burioni. Per ciò che riguarda i sintomi, il professore spiega che: «È di gran lunga meno pericoloso, causa una malattia che è generalmente lieve, con sintomi che possono ricordare una brutta varicella. Per capire che cosa sta succedendo, dobbiamo, prima di tutto, tenere conto di un dato fondamentale: il vaccino contro il vaiolo vero protegge anche contro il vaiolo delle scimmie». Il vero Vaiolo è sparito nel 1981 grazie ai vaccini. Ora invece la malattia si è trovata davanti a una serie di esseri umani infettabili perchè non coperti da nessun siero. Proprio per questo motivo, l’incidenza di questa malattia nel continente africano è in costante aumento negli ultimi decenni, e, addirittura, nel 2017, in Nigeria, c’è stato un focolaio epidemico con più di 700 casi.
Fino a un paio di settimane fa, i casi di vaiolo delle scimmie, che si registravano al di fuori dell’Africa, erano riconducibili tutti a due tipologie: o erano persone di ritorno da quel continente, che si erano infettate in Africa, o erano persone entrate in contatto con animali infetti provenienti dall’Africa, come, per esempio, in un focolaio che si è registrato, nel 2017, negli Stati Uniti.