La politica è fatta di guerre. Interne ed esterne. Quelle esterne servono a conquistare spazio, territorio. Quelle interne a stabilire chi governerà quello spazio così conquistato.
Un partito dovrebbe pensare a conquistare spazio, a fare guerre esterne, e invece accade che l’attività prevalente di ogni partito, in ogni partito, sia quella del conflitto interno.
Si litiga per conquistare spazio interno, e si arriva alla guerra esterna così deboli e demotivati da perderla. La causa di tutto questo è nel sistema politico che abbiamo, nel quale i partiti non hanno più il ruolo trainante di una volta. I partiti erano locomotive guidate da uno staff di macchinisti adibite al trasporto di passeggeri (soldati) addestrati a fare la guerra. Su quei treni si formava la futura classe dirigente, si studiavano le battaglie, si organizzavano le conquiste, e si scendeva alla stazione della guerra predestinata.
Oggi i partiti non sono più locomotive ma semplici e desolati vagoni passeggeri. Il macchinista è uno solo. Decide lui le guerre da combattere e i soldati da far salire, facendogli pagare il biglietto. Poi si va alla guerra. Quale? Una vale l’altra, basta farla, perché senza guerre non c’è politica.
Ne deriva, come sostiene qualcuno, che le guerre vanno sempre fatte, perché solo così si possono vincere. Ed ecco la differenza col passato, quando le guerre si facevano solo per essere vinte.