Ogni notte, decine, centinaia di droni partono dalla Russia per andare a bombardare l’Ucraina. Alla stessa ora, con le stesse modalità, altrettanti droni partono da basi ucraine per andare a bombardare obiettivi in Russia.
La guerra moderna si fa coi droni. Più del rumore dei carri armati che si avvicinano, chi vive nelle zone di guerra ha paura del sibilo che sente sulla propria testa, prodotto dalle piccole eliche di questi trepiedi volanti.
Armi, che portano morte e distruzione, come tutte le guerre. Ma le guerre si fanno anche per innovare. Il primo calcolatore meccanico nacque per l’esigenza di far arrivare con precisione i colpi di cannone sulle postazioni nemiche. Cioè per calcolare la posizione dei cannoni e la rotta dei proiettili. Da lì si è arrivati al computer, ai telefonini digitali, a internet.
Quindi dalla morte può nascere la vita, e così, per tornare ai droni, si può e si deve studiare come servirsene per scopi civili ed umanitari, insomma, a fin di bene.
Ieri si è fatto un esperimento fra l’ospedale Miulli di Acquaviva e un centro sanitario di Bari. Dal Miulli si è levato in volo un drone che ha portato un medicinale a Bari in appena 25 minuti. In ambulanza, a sirene spiegate, quindi alla massima velocità, fra ingorghi e deviazioni, ci sarebbe voluto almeno il doppio del tempo.
Un drone potrebbe trasportare in tempi record un organo da trapiantare, e salvare una vita. Finora hanno salvato solo le feste nuziali e portato distruzione. Ma mai dire mai.









