Dal carcere si può. Si può tutto. Nonostante il sovraffollamento, nonostante le condizioni igienico-sanitarie, nonostante i disservizi, nonostante i controlli, dal carcere, e in carcere, si può.
Ricevere droga, ad esempio. Dare istruzioni al proprio clan. Sposarsi, fare sesso, laurearsi, eccetera eccetera. Il carcere è come una piazza, un crocevia di interessi e culture, vite distrutte e manager in carriera. Una pausa sul lavoro. Ma anche lavoro.
A vederle dall’esterno, le carceri sembrano luoghi tristi, ma dentro c’è una vitalità che fa spavento. Nelle carceri si forma la migliore delinquenza, per molti ragazzi è un’università.
Per Tommy Parisi è una casa discografica. Dal carcere, dove sta scontando una condanna a 9 anni per essere stato ritenuto affiliato al clan del padre, Savinuccio, il cantante neomelodico barese, ha lanciato la sua ultima canzone, «Malasuerte». In pochi giorni, decine di migliaia di visualizzazioni ne hanno già decretato il successo.
Il video va forte non solo per la musica e le parole, ma anche per la fascinosa curiosità (in alcuni casi anche ammirazione) che crea l’apparizione di un carcerato in smoking che invece di piangere sulle sue sventure, canta una canzone d’amore. Anche questa è rieducazione. Ma a questo punto è anche giusto chiedersi se lo Stato-casa discografica ricavi almeno qualcosa dal profitto che Malasuerte sta producendo.