Lo spopolamento dei borghi, il mancato utilizzo delle risorse forestali, un’agricoltura che non sa più valorizzare le sue storiche produzioni. La crisi delle aree interne sta cambiando la geografia umana dei territori. L’antidoto? Si chiama «restanza» termine coniato dall’antropologo Vito Teti e diventato un bestseller per Einaudi. Il concetto è che al diritto a migrare corrisponde il diritto a restare, costruendo un altro senso dei luoghi e di sé medesimi. È un continuo aggiornamento della tradizione. Per farlo servono però strumenti adeguati.
A provarci è Orsara di Puglia, un borgo di 2.485 abitanti che si erge a 635 sul livello del mare sui monti del Subappennino daunio, in provincia di Foggia. Unico comune in provincia di Foggia con i marchi di “Città Slow”, “Città dell’Olio” e “Città Bio”, Orsara è diventato un bio-distretto dell’agricoltura sostenibile che rispetta i più alti standard qualitativi.
La storia
Orsara ha origini antiche. In epoca romana, fu teatro di operazioni belliche durante la seconda guerra punica; fu poi attraversata dalla via Traiana. Nell’VIII secolo, una comunità di monaci basiliani si stabilì in zona, venerando l’arcangelo Michele in una grotta, sull’esempio di Monte Sant’Angelo da dove il culto del patrono dei Longobardi si era diffuso in tutta Europa. Nel XIII secolo, dal 1228 al 1294, i cavalieri dell’ordine di Calatrava, provenienti dalla Spagna, si insediarono nel territorio.
Denominato Orsara Dauno-Irpina dal 1861 al 1884, fino al 1927 il Comune faceva parte della provincia di Avellino. Gli orsaresi parlano un dialetto influenzato dalle vicende storiche del loro territorio. Il toponimo “Orsara” potrebbe derivare dalla presenza di orsi nella zona o dal nome di un notabile longobardo-bizantino. L’emblema comunale avvalora la prima ipotesi, con uno stemma araldico in cui campeggia, su uno sfondo azzurro, un orso accompagnato dal suo cucciolo “entrambi di nero, ritti e con la zampa sinistra alzata, sostenuti dalla pianura d’oro, il tutto addestrato dalla quercia di verde, fustata al naturale, nodrita nella pianura”.
Il culto di san Michele
Le tradizioni religiose sono fortemente radicate. Sorta lungo la via Francigena, vi è l’abbazia dell’Angelo di Orsara. Sorge sul fianco scosceso di un vallone, e si è sviluppata intorno alla grotta naturale di San Michele, che è accessibile da una chiesa del XII secolo. Ha un soffitto a volta e ospita una statua dell’Arcangelo durante le celebrazioni. Il fianco Nord, con piccole aperture e nicchie naturali, dove sono incise delle croci e dei frammenti di iscrizioni che testimoniano il passaggio di pellegrini e la devozione popolare.
All’interno del complesso abbaziale sono inglobate la chiesa di Santa Maria e la cappella dell’Annunziata: la prima, costruita nel XVI secolo e ricostruita dopo il terremoto del 1930, si distingue per il suo stile gotico e per le vetrate colorate; la seconda, monumento nazionale, dell’antico tempio fondato nel XII secolo da monaci spagnoli lungo la via Francigena: la presenza dei cavalieri di Calatrava dal 1228 sottolinea l’importanza storica e culturale del luogo, che divenne un centro di pellegrinaggio con tradizioni religiose che perdurano ancora oggi.
La chiesa di San Nicola di Bari, già esistente nel 1127 fu completamente barocchizzata a partire dal 1622. Qui nel 1590 fu trasferita la sede parrocchiale, che precedentemente era nell’antica chiesa abbaziale. Seicentesche sono le statue di San Michele, opera del napoletano Giacomo Colombo, e della Madonna della Neve, opera del napoletano Aniello Stallato. Del 1777 è il complesso e ricco altare marmoreo. Prezioso è un calice in argento realizzato da un maestro Nicola Aventino di Sulmona tra il Trecento e il Quattrocento. Vi è poi un bel un crocifisso bifronte in pietra del XV o XVI secolo, di scuola gotico-fiamminga, e un pregevole organo del 1756.
I palazzi
Orsara di Puglia conserva un patrimonio monumentale e artistico di rilievo. Nella zona dell’abbazia e del Palazzo Baronale, in largo San Michele, sorge Palazzo Varo, un bell’ edificio rinascimentale del XVI secolo che conserva l’architrave nobiliare sul portone, la scalinata interna in pietra e le cantine che si aprono sulla piazza. Da circa un secolo di proprietà della diocesi, Palazzo Varo ospita in alcuni locali al primo piano il Museo Diocesano con un’ampia e interessante collezione che spazia dal Neolitico al XX secolo, mixando reperti archeologici che testimoniano la presenza di popolazioni osce-irpine, opere d’arte e oggetti d’uso comune.
L’imponente Palazzo di Torre Guevara, eretto nel 1680 a sette chilometri da Orsara, nella Piana di Giardinetto, era una sontuosa tenuta di caccia, a tre piani con un impianto rettangolare di sessanta metri per venti e con ben 80 stanze. Era una delle dimore reali della corte aragonese e poi borbonica di Napoli.