Da Paese tradizionalmente caratterizzato dall’emigrazione, l’Italia ha vissuto una trasformazione radicale negli ultimi 40 anni, infatti si è progressivamente affermata come una delle principali mete di immigrazione in Europa. Un processo che ha inciso in maniera significativa sulla struttura sociale e produttiva nazionale, tanto che oggi «la presenza straniera non può più essere interpretata come fenomeno emergenziale, ma come componente strutturale e stabile del mercato del lavoro e della società. La crescente partecipazione dei lavoratori stranieri – si legge nel report curato da Labour- Int, Fondazione Smile Puglia e Fondazione Rita Matteotti – si è resa evidente soprattutto in alcuni comparti produttivi strategici.
L’agricoltura, l’edilizia, la logistica e i servizi alla persona costituiscono i settori in cui la manodopera migrante è maggiormente rappresentata, spesso in condizioni di indispensabilità. Tuttavia, negli ultimi anni si registra anche un progressivo ingresso degli stranieri in ambiti manifatturieri, in lavori specializzati e in attività che richiedono competenze tecniche di medio livello. Questo testimonia una lenta ma significativa diversificazione della presenza migrante nel tessuto produttivo italiano».
In Puglia i cittadini stranieri residenti sono 147.269 pari al 3,8% della popolazione, presenza nettamente più bassa di quella rilevata in Italia 8,9% e nel Sud 4,7. Fra le province pugliesi, la quota di stranieri residenti è maggiore a Foggia dove si attesta al 5,9%, seguita da Bari e Lecce (3,6%), Brindisi (3,4%), Taranto (3,0%) e Barletta-Andria-Trani (2,9%). nelle province di Foggia e di Barletta-Andria-Trani proviene da paesi appartenenti all’Unione il 43% circa del totale degli stranieri residenti e a Taranto la quota è del 31,5%; a Bari invece la maggior parte degli immigrati residenti (86,1%) è originaria di paesi non-Ue.
Secondo i dati pubblicati nell’ultimo Dossier Statistico Immigrazione 2024 nel mercato del lavoro locale pugliese la concentrazione dei lavoratori migranti è più alta rispetto agli italiani nel settore agricolo (è occupato in questo settore il 26,5% dei lavoratori stranieri e solo il 7,2% degli italiani), nel settore delle costruzioni (11,0% e 8,1%) e in quello domestico (18,9% e 1,1%). La progressiva integrazione sul piano lavorativo non significa che continuino a sussistere diverse criticità.
«I dati mostrano come i lavoratori stranieri siano spesso confinati nelle fasce basse del mercato del lavoro, caratterizzate da precarietà contrattuale, bassi salari, maggiore esposizione a rischi di sfruttamento e frequenti violazioni della normativa in materia di sicurezza. A ciò si aggiungono ostacoli strutturali come le barriere linguistiche e culturali, la difficoltà di riconoscere e valorizzare i titoli di studio e le competenze acquisite nei Paesi di origine, e l’insufficiente coordinamento tra domanda e offerta di lavoro. Questi fattori contribuiscono a rallentare i percorsi di integrazione e a limitare la mobilità sociale dei lavoratori migranti, intrappolandoli in segmenti marginali». B.S.