Dalle Langhe al Promontorio. Dal barolo all’olio d’oliva. Dalla Polonia a San Giovanni Rotondo, città cara al papa polacco Karol Wojtyła. Monsignor Franco Moscone, dell’ordine dei somaschi, si è «ritrovato quasi per caso» alla guida della diocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, arrivando – accolto da una grande folla – in «una giornata fredda», come ricorda. Lui che, sempre per caso, era stato già sul Gargano come guida spirituale di un gruppo di pellegrini.
Venendo in terra di Capitanata ha scoperto quando sia profonda la presenza della Quarta mafia. Eppure, a differenza di altri contesti, c’è poca collaborazione e pochi “eroi” anche nella chiesa. Cos’è la mafia vista con gli occhi di un settentrionale?
«La mafia è una realtà che s’infiltra in modo subdolo, quasi nessuno se ne accorge, quando lo fai ti ha già fatto suo. Credo sul nostro territorio più che eroi servano persone che escano allo scoperto che aiutino ad aprire gli occhi di tutti, senza omissioni e paure. Dovremmo fare nostra una frase di don Puglisi “Non ho paura delle parole dei violenti ma del silenzio degli onesti”».
Un vescovo arrivato dal Nord deve usare linguaggi differenti se parla a gente del Sud?
«Le parole fanno anche le cose, costruiscono le relazioni. L’importante è che siano chiare e senza altri intendimenti. Il resto lo fa l’occasione».
Possono essere anche parole di rabbia. Un vescovo perde la pazienza?
«Da quando sono vescovo mi è capitato poche volte, ma ultimamente è successo spesso»
Per quale motivo?
«Ho sempre cercato di contenere i miei aspetti esplosivi ma sovente mi escono in contesti amministrativi».
E un vescovo come esternalizza la rabbia?
«Premetto che un vescovo è una persona fondamentalmente sola, condizione a cui non ero abituato. Non l’ho mai fatto in un’omelia o in una manifestazione di piazza, ma in precisi contesti di lavoro».
Cosa le piace di questa terra?
«Avevo fatto esperienze di comunità religiosa anche in diversi contesti. Qui ho scoperto il significato di popolo».
Nel suo primo giorno è stato accolto da una grande partecipazione di popolo, però questa è terra che cede spesso ai populismi e ai populisti?
«Per me il populismo è una forma di sostituzione della democrazia. Si finge di stare dalla parte del popolo per interessi che diventano parziali se non individuali. Però è troppo facile condannare la politica, mentre si dovrebbe cercar di inserire nuovi atteggiamenti di autentica partecipazione che richiama alla responsabilità di tutti».
E la Chiesa come può incidere?
«In territori come questi, spesso sfruttati ed emarginati, la dottrina sociale della chiesa può essere utile per guardare al futuro con ottimismo senza avere rimpianti del passato».
Eccellenza, lei ha un doppio ruolo: amministratore di una diocesi e presidente di un importante ospedale, ovvero conciliare due aspetti: la salute delle anime e quella dei pazienti. Cosa vuol dire oggi questo precetto che richiama l’azione stessa di padre Pio: prega e cura?
«Non è facile mantenere i due ruoli, sia perché la diocesi di Manfredonia è riferimento storico-religioso di estrema importanza, sia perché Casa Sollievo è un presidio sanitario di alta qualità. Cerco di essere adeguato alle situazioni, però in 4 anni e più che sono qui non posso non dire di aver vissuto una giornata sentendomi adeguato».
E come si supera questa inadeguatezza?
«Da credente la supero pensando che quello che sto facendo non l’ho scelto io. Non ho mandato curriculum, mi è stato chiesto come obbedienza».
Si rivolge molto ai giovani, oltre ad accompagnarli nel percorso di fede, che cosa percepisce nei loro discorsi?
«I giovani sono molto attenti all’ambiente, a un futuro sostenibile e a un lavoro autentico. Per questo le scelte non possono riguardare solo il presente ma avere un orizzonte più ampio».
La tutela dell’ambiente come si concilia con progetti come l’Energas?
«La storia di Manfredonia è stata una storia di scelte predatorie e inquinanti. Il progetto Energas è un progetto industriale vecchio, non più in linea con le nuove esigenze di sviluppo del territorio sipontino Manfredonia è cambiata perché non deve cambiare il progetto Energas?»
Riceve molte richieste di lavoro. Chi si rivolge a Lei cerca uno stipendio o la voglia di dare concretezza al suo desiderio di restare qui?
«L’emigrazione è un fatto naturale, ma non è a tutti possibile, per cui non si ha altra soluzione che restare lì dove si è, allora si deve cercare un lavoro che spesso vuol dire restare ostaggio di offerte poco chiare e mortificanti della propria dignità».
Lei è anche pubblicista. Che cosa significa fare informazione oggi?
«Oggi è più difficile fare informazione. Grazie ai social sono tutti informatori e si sentono giornalisti. Si crede che un buon giornalismo sia dato dal numero dei like che riceve una determinata notizia. Temo che s’insegua la quantità più della qualità».