Hayat Fatimi aveva 46 anni ed era di origine marocchina. Lavorava come cuoca in una mensa. Viveva sola, in un appartamento al pianterreno nel centro storico di Foggia e si aggiunge al lungo, drammatico elenco delle vittime di femminicidio. Nella notte tra mercoledì e giovedì è stata uccisa in strada, colpita a morte con una coltellata dal suo ex compagno, che aveva già denunciato per maltrattamenti.
La dinamica
Secondo la ricostruzione degli investigatori, l’aggressione sarebbe avvenuta intorno alle due del mattino. Hayat si sarebbe accorta della presenza dell’ex e avrebbe chiamato la polizia, ma l’uomo l’ha raggiunta prima dell’arrivo della pattuglia colpendola con un coltello e fuggendo subito dopo. Da aprile, la donna era seguita dal centro “Impegno donna” di Foggia, a cui si era rivolta spontaneamente per denunciare le minacce e i comportamenti persecutori dell’ex compagno. La relazione tra i due, durata solo pochi mesi, si era conclusa proprio a causa degli atteggiamenti violenti dell’uomo. Le operatrici del centro l’avevano convinta a denunciare, cosa che Hayat aveva fatto a maggio. A seguito della denuncia, per l’uomo era stato disposto un divieto di avvicinamento con applicazione del braccialetto elettronico. Tuttavia, il dispositivo non sarebbe stato attivato per problemi tecnici. A luglio, vista la situazione in peggioramento e i nuovi episodi di pedinamento segnalati dalla vittima, la misura era stata aggravata: il giudice aveva emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, che però non sarebbe stata eseguita. L’uomo, privo di una dimora fissa, risultava irrintracciabile. Il centro antiviolenza aveva inoltrato il 16 giugno una scheda di valutazione del rischio con esito “alto” e allarme per possibile femminicidio. La donna, però, aveva scelto di non trasferirsi in una struttura protetta, nonostante le sollecitazioni ricevute. L’ultimo contatto con le operatrici risale al 23 luglio, quando aveva riferito che l’ex la stava ancora seguendo.
La caccia all’uomo
Dopo l’omicidio, l’uomo ha lasciato Foggia. È stato rintracciato nel pomeriggio di ieri a Roma, dove i carabinieri lo hanno fermato, dopo un inseguimento a piedi, in piazza della Croce Rossa. Addosso aveva ancora i vestiti sporchi di sangue. Hayat non aveva figli né parenti stretti a Foggia. Cercava di ricostruire una vita normale dopo mesi di paura. Una vita spezzata, nonostante avesse chiesto protezione. Una tragedia ha suscitato profonda commozione e sgomento nella città di Foggia. «Non ci aspettavamo una cosa simile così vicina a casa nostra – dicono i residenti del centro storico – era una persona tranquilla, riservata, non dava mai fastidio a nessuno». Altri testimoni ricordano le urla della notte e la corsa verso il luogo del delitto: «Un grido disumano – dicono – e poco dopo le sirene. Ma purtroppo ormai era troppo tardi». E ancora: «Questa donna aveva chiesto aiuto più volte, eppure nessuno è riuscito a proteggerla – racconta una giovane residente – ora ci sentiamo tutti più insicuri. Se succede qui, in pieno centro storico, allora chi può dirsi al sicuro?». Il clima in città è carico di paura e dolore. Numerose sono le persone che si rivolgono alle associazioni di sostegno per chiedere aiuto o semplicemente un confronto. Alcuni cittadini chiedono maggiori controlli e interventi più efficaci da parte delle istituzioni: «Serve un cambiamento vero, non basta solo la legge scritta su carta. Queste tragedie si possono prevenire se c’è davvero attenzione e se le forze dell’ordine sono supportate».
«Una sconfitta dolorosa. Ora non possiamo arrenderci alla violenza»

Nonostante fosse sotto la tutela del “codice rosso”, il meccanismo d’emergenza previsto per chi denuncia violenze e minacce, Hayat Fatimi è stata lasciata sola. A giugno era stata segnalata come caso ad “alto rischio” da un centro antiviolenza. A luglio aveva denunciato di essere pedinata. La macchina della protezione, però, si è inceppata. E oggi, Foggia si sveglia con un’altra ferita aperta. «Questo tragico omicidio è una sconfitta dolorosa per tutti, anche perché la vittima aveva chiesto tutela e protezione per garantire la sua incolumità». Con queste parole la sindaca di Foggia, Maria Aida Episcopo, ha commentato il drammatico episodio, ribadendo come non possa essere derubricato a “fatto isolato”.
La risposta alla violenza
Dure anche le reazioni del mondo politico. Susanna Donatella Campione, senatrice di Fratelli d’Italia e componente della commissione bicamerale contro la violenza sulle donne, punta il dito contro le lacune del sistema: «Questa tragica morte ribadisce l’urgenza dell’approvazione definitiva della legge contro il femminicidio. Spero che il provvedimento voluto dal governo Meloni venga approvato quanto prima. Abbiamo il dovere di non arrenderci e non rassegnarci alla violenza». La senatrice sottolinea come, se fosse confermato che l’aggressore non fosse sottoposto all’obbligo del braccialetto elettronico, ciò rappresenterebbe un ulteriore fallimento nella protezione delle vittime. Il nuovo testo di legge, ancora in attesa del voto definitivo alla Camera, introduce norme più rigide, tra cui il potenziamento del divieto di avvicinamento e l’estensione dei tempi per le intercettazioni. Raffaella Paita, capogruppo di Italia Viva al Senato, parla senza mezzi termini: «L’efferato femminicidio avvenuto a Foggia è l’ennesima tragedia annunciata e, per questo, evitabile. Non si può andare avanti così: servono più controlli. Siamo stanchi di commentare morti che potevano magari essere evitate. Il Governo si dia una smossa».
Ruoli e responsabilità
Una responsabilità collettiva che chiama in causa ogni livello dello Stato. «L’inasprimento delle leggi contro i femminicidi e lo stalking, le campagne di sensibilizzazione, il sistema sociale di protezione attraverso l’associazionismo e i centri antiviolenza – spiega la prima cittadina – costituiscono una rete necessaria che dev’essere sempre più stretta. Basta un piccolo allargamento della maglia, una sottovalutazione, per arrivare a un epilogo terribile». Accorate anche le parole dell’assessora comunale alle Politiche sociali, Rosa Mendolicchio, che sottolinea il rischio di un’altra ingiustizia: «Non possiamo permettere che l’ennesimo femminicidio, tanto crudele quanto annunciato, generi sfiducia nelle istituzioni. Sarebbe la seconda ingiustizia, dopo la prima: quella compiuta contro Hayat Fatimi, una donna che aveva chiesto aiuto e non è stata salvata».
In aumento gli accessi nei centri antiviolenza +25% nell’ultimo anno

In Puglia, la violenza contro le donne continua a rappresentare un fenomeno strutturale e diffuso, con numeri in aumento su tutto il territorio. I dati più recenti parlano chiaro: nell’ultimo anno, i centri antiviolenza regionali hanno registrato un aumento del 25% di accessi rispetto al periodo precedente. Si tratta di un incremento significativo, che riflette da un lato l’intensificarsi del fenomeno, dall’altro una maggiore propensione a chiedere aiuto.
I profili
La maggioranza delle donne accolte è di nazionalità italiana, ma in alcune province, come quella di Brindisi, si evidenzia una crescita marcata della componente straniera. Le forme di violenza più frequentemente segnalate restano quelle psicologiche (45%) e fisiche (40%), mentre lo stalking rappresenta il 7% dei casi. La gran parte delle donne si rivolge ai centri antiviolenza in modo spontaneo, senza l’intermediazione di enti pubblici o forze dell’ordine. Questo accade soprattutto in province come Taranto e Foggia, dove oltre il 70% degli accessi avviene su iniziativa diretta delle vittime. Una dinamica che segnala sia la crescente fiducia nei servizi, sia la necessità di rafforzare i presìdi territoriali. Parallelamente, aumenta anche il ricorso al numero verde nazionale attivo 24 ore su 24 per supporto e segnalazioni. Sul fronte delle denunce, la situazione appare più complessa.
Sul territorio
Le differenze provinciali sono, infatti, marcate: Lecce è in testa con una percentuale superiore al 55%, seguita da Taranto (53,6%), mentre Bari si ferma al 42,9%, uno dei dati più bassi della regione. Tra i casi più recenti e drammatici che hanno scosso l’opinione pubblica c’è quello di Celeste Palmieri, uccisa dal marito a San Severo lo scorso ottobre in un contesto già noto alle autorità e classificato come “codice rosso”. La giovane era stata già inserita in un percorso di protezione, ma la violenza l’ha raggiunta comunque, sollevando interrogativi sulle falle nei meccanismi di prevenzione. Il suo caso è diventato simbolo di quanto sia urgente intervenire con misure più efficaci e tempestive. Per sostenere le vittime e favorire percorsi concreti di uscita dalla violenza, la Regione Puglia ha stanziato 1,2 milioni di euro destinati a percorsi personalizzati, oltre a 400.000 euro per integrare il Reddito di Libertà, una misura di supporto economico alle donne che intraprendono la difficile strada dell’autonomia. Inoltre, la Puglia detiene il primato nazionale per quanto riguarda il coinvolgimento dei servizi sociali, a cui si rivolge il 28% delle vittime, contro una media italiana ferma al 15%. Accanto ai dati ufficiali, però, a raccontare la realtà della violenza ci sono anche le voci delle donne sui social. Testimonianze anonime, spesso pubblicate in gruppi di mutuo aiuto, diventano un’occasione per condividere esperienze, incoraggiare, rompere l’isolamento. «Avevo paura, ma poi un giorno ho capito che il silenzio mi stava distruggendo. Denunciare è stato l’unico modo per salvarmi», scrive una donna in un gruppo pugliese.