La maglia numero 6 ritirata per sempre, 15 anni con la fascia di capitano al braccio della stessa squadra, 6 scudetti conquistati, 3 Coppe dei Campioni e 2 Coppe Intercontinentali vinte, 719 presenze e 33 reti. Troppi indizi che producono più prove per l’unico colpevole possibile, reo di per avere fatto innamorare del calcio milioni di tifosi in tutta Italia e nel mondo. Franco Baresi è un’icona del calcio riconosciuta a tutte le latitudini, in tutti i continenti. Anche in nazioni da noi lontane migliaia di chilometri, come nel caso della isolata Mongolia che avrebbe voluto dedicargli uno stadio. Progetto poi naufragato nel corso del tempo ma che conferma la grande notorietà nel corso del tempo. Lo storico capitano del Milan è stato ospite del Milan club di Torremaggiore a lui dedicato, per presentare la sua ultima opera: “Ancora in gioco”.
Capitano, nel suo libro afferma che le piace sfidare le sue stesse paure: ha vissuto momenti difficili più in campo o fuori dal campo?
«Nel corso della mia vita e della mia carriera ho vissuto momenti difficili e anche paure e molto spesso per averne la meglio ho avuto bisogno di un sostegno. E proprio per questo ho imparato che lo sport è un veicolo importantissimo per portare tanta serenità a sé stessi, prima di tutto, ma poi anche agli altri e principalmente ai bambini».
Il Mondiale statunitense del ’94 iniziò per lei nel peggiore dei modi con un grave infortunio. In tempi record recuperò per la finale poi persa con il Brasile ai calci di rigore: cosa le ha insegnato questa esperienza?
«Per me era l’ultimo Mondiale. Mi infortunai con la Norvegia e pensai che per me il Mondiale fosse finito e invece no. Lì ho capito che non bisogna mai arrendersi e che bisogna sempre rialzarsi. Di certo è questo uno dei capitoli più belli della mia carriera. Sacchi mi conosceva bene e quando gli dissi che volevo giocare, lui non rispose nulla, perché sapeva che da me avrebbe avuto non il cento per cento, ma il duecento per cento».
Nel libro lei cita Pietro Mennea, atleta barlettano icona dell’atletica leggera mondiale: perché è stato per lei fondamentale?
«Mennea mi ha ispirato, così come altri grandi come Benvenuti, Panatta e Tomba. Guardavo loro, come forse oggi altri potrebbero guardare me. Sono personaggi cresciuti nelle difficoltà per poi diventare ciò che sono diventati».
Nel libro riserva diverse pagine alla necessità di reagire anche dopo le batoste. La sconfitta sofferta il 7 dicembre 1980 a Taranto, citata nel libro, cosa le ha insegnato?
«Capimmo che non avremmo potuto sottovalutare nessun avversario, soltanto perché eravamo il Milan. È stata una bella esperienza, anche nella sconfitta. Una volta caduti, bisogna sapersi rialzare e questo è molto importante. Bisogna sempre rispettare l’avversario e nello sport questo è fondamentale».
Diavoli e Satanelli, Milan e Foggia: i rossoneri di Puglia sono stati per il Milan croce e delizia, ovvero la squadra che ha posto un punto al record di imbattibilità di Sebastiano Rossi, ma anche la stessa che avete battuto 8-2 allo Zaccheria. Quel Foggia quanto correva?
«Siamo stati una squadra molto forte e pronta a qualsiasi evenienza, anche ad affrontare una compagine ben preparata come quella del Foggia. Noi in quegli anni eravamo però imbattibili, come voleva Silvio Berlusconi».
Dopo la Lombardia, la Puglia è la seconda regione d’Italia per numero di Milan club: per lei è come sentirsi a casa?
«Direi di sì. Non è la prima volta che vengo in Puglia e trovo sempre un grande entusiasmo, una grande dedizione per i nostri colori. Ci sono milioni di tifosi e questo non dobbiamo mai dimenticarlo, per cui da questa regione porto via sempre grandissimi ricordi».
Lei è il capitano più longevo della storia del Milan: cosa vuol dire, nei fatti, essere il capitano di una squadra?
«Non è facile esserlo. Avevo 22 anni quando lo diventai. Imparai seguendo e vivendo uno dei più grandi come Gianni Rivera, che sapeva difendere la squadra sempre, sapeva parlare e assumersi sempre chiare responsabilità. È stato per me un grande insegnamento. Da capitano bisogna fare sacrifici, essere altruisti, stimolare i compagni ed essere un esempio».
Questo libro è ispirato anche da “Fitzcarraldo”, film di Werner Herzog e il cui protagonista issa una nave su una montagna per indicare la possibilità di andare oltre e capire il cuore di un essere umano: tutti potremmo issare una nave sulla cima di una montagna?
«Tutto è possibile. Sognare si può».