Oltre 12mila ordigni rudimentali sarebbero stati portati a Foggia, dopo essere stati acquistati in provincia di Potenza, e sarebbero stati rivenduti e utilizzati nel capoluogo dauno. A introdurre l’esplosivo in città sarebbero state sette persone, cinque delle quali sono finite in carcere e due agli arresti domiciliari.
L’operazione è stata eseguita dagli agenti della squadra mobile, coordinati dalla Procura di Foggia.
Le accuse a carico dei sette indagati sono, a vario titolo, di aver commesso illeciti penali in materia di esplosivi e, per uno di loro, falso in atti pubblici. Tra gli arrestati c’è anche una donna.
L’indagine avrebbe accertato la responsabilità di un 20enne foggiano, già noto alle forze dell’ordine e che è andato in carcere, che da mesi avrebbe avviato la fiorente e redditizia attività di rivendita a stock e al dettaglio degli esplosivi. Il giovane, con la collaborazione della sua compagna e di altri indagati, sarebbe andato diverse volte – da settembre a dicembre dello scorso anno – in un paese in provincia di Potenza per rifornirsi da un altro indagato di manufatti esplosivi poi rivenduti.
Durante questo periodo, a Foggia si sono verificate una serie di esplosioni, anche nelle zone del centro più frequentate, in particolare in orario serale e notturno.
A dicembre dello scorso anno, gli agenti avevano arrestato una persona sequestrando 4.800 manufatti esplosivi. Stando a quanto emerso dalle indagini, a Foggia sarebbero stati distribuiti 12.240 ordigni, privi di regolare omologazione, con effetti detonanti a rischio potenziale elevato e che, per le modalità di detenzione e conservazione, sono da ritenere di portata offensiva micidiale e distruttiva.
Tra gli arrestati di oggi anche un altro foggiano, che avrebbe venduto agli altri indagati circa 200 manufatti esplosivi cilindrici, le cosiddette “Cipolle”. Le indagini, inoltre, hanno messo in luce come il principale indagato, il 20enne, durante il periodo di messa alla prova – cui era stato ammesso nell’ambito di un altro procedimento penale – effettuato presso un’associazione si sarebbe appropriato di merce destinata a finalità sociali. In questa circostanza, sostengono gli investigatori, il rappresentante legale dell’associazione si sarebbe adoperato per agevolare il 20enne attraverso la falsificazione dei registri di presenza che attestano l’adempimento degli obblighi imposti per il superamento del periodo di “messa alla prova”, riportandone falsamente la presenza in orari in cui il giovane si trovava in realtà altrove. Al termine delle indagini il rappresentante legale dell’associazione è stato accusato di falsità materiale e ideologica in atto pubblico ed è stato posto ai domiciliari.










