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Zero strategie, tante sconfitte: per Meloni la Puglia è un problema

Giorgia Meloni non ha fatto un dramma della sconfitta rimediata dal centrodestra alle recenti elezioni comunali. E tutto sommato, a livello nazionale, i sondaggi danno Fratelli d’Italia oltre il 30% dei consensi e l’intera coalizione vicina al 50. Il premier, però, farebbe bene a riflettere su alcuni casi specifici. A cominciare dalla Puglia, trasformatasi da “Emilia-Romagna nera” in una “Stalingrado con vista sul mare”.

Ciò che dovrebbe far preoccupare il presidente del Consiglio non è tanto il fatto che, a Taranto, il candidato sindaco sostenuto dal suo partito abbia sfiorato il 20% fallendo l’obiettivo del ballottaggio. Lo scenario in vista delle prossime elezioni regionali è persino più preoccupante, soprattutto se confrontato con quello che si presenta nelle altre regioni al voto.

Nelle Marche il presidente uscente Francesco Acquaroli è certo della ricandidatura e quindi già in campagna elettorale. In Toscana l’investitura ufficiale per Alessandro Tommasi non è ancora arrivata, ma il due volte sindaco di Pistoia è di fatto già in campo e sta allestendo la coalizione. Ancora, in Campania il viceministro Edmondo Cirielli si è detto disponibile a sfidare il centrosinistra. Infine in Veneto, qualora l’aspirante governatore non dovesse essere espressione della Lega, Fratelli d’Italia può contare su ben tre nomi: il coordinatore regionale Luca De Carlo, l’eurodeputata Elena Donazzan e Raffaele Speranzon, vice capogruppo al Senato. E in Puglia? Zero più zero, niente, il vuoto pneumatico.

Anzi, nella regione che Pinuccio Tatarella rese baluardo del centrodestra, avviene l’esatto contrario. Prima di Taranto, dove Luca Lazzàro è stato lanciato in extremis ridimensionandone le chance di vittoria, a Bari Fratelli d’Italia aveva ceduto alla Lega il candidato sindaco, Fabio Romito, e a stento aveva superato l’11% dei consensi: risultato deludente per quello che in Italia è il partito di maggioranza relativa, ma dinanzi al quale qualche dirigente pugliese ha avuto persino il coraggio di esultare. Prima ancora, alle comunali di Foggia e di Brindisi, i meloniani avevano accettato le candidature dei berlusconiani Raffaele Di Mauro e Giuseppe Marchionna. Idem per la Regione, dove Fratelli d’Italia sembra impegnato nella “ritirata di Russia” prima ancora che dalle urne emergano i “fantasmi di Stalingrado”. Insomma, i dirigenti meloniani si preoccupano dell’esigenza di evitare figuracce più che dell’onere di costruire un’alternativa credibile al centrosinistra. E, ancora una volta, il monito almirantiano per il quale “la destra è coraggio o non è” viene dimenticato.

Che cosa dovrebbe suggerire tutto ciò a Via della Scrofa? Primo: l’effetto Meloni può esplicarsi a livello nazionale ed europeo ma non a livello locale dove, per vincere, serve una classe dirigente autorevole. In Puglia, invece, tanti (troppi!) esponenti di tutto il centrodestra hanno preferito i ben remunerati incarichi e l’equivoco civismo di centrosinistra all’elaborazione di una proposta culturale, politica e amministrativa alternativa a quella di Nichi Vendola, Michele Emiliano e Antonio Decaro. In più, tanti (troppi!) dirigenti locali di Fratelli d’Italia sono affetti dalla “sindrome del 3%” che li impegna in misere battaglie di retroguardia, come la stagione dei congressi ha ampiamente dimostrato, e non nel necessario tentativo di contaminare l’esperienza missina con quella liberale, quella moderata e quella riformista. Eppure uno sforzo simile è tanto più necessario se si pensa che la politica nazionale e quella europea hanno sottratto alla Puglia risorse come il sottosegretario Alfredo Mantovano e il commissario europeo Raffaele Fitto. Ciò dovrebbe bastare a Meloni per riconoscere che la Puglia è un problema per Fratelli d’Italia. E per ricordare a qualcuno che la mancanza di un centrodestra forte e credibile, a fronte di un centrosinistra solido e inclusivo, è un limite per la democrazia.

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