Affermare che le prossime elezioni siano le più importanti da qualche decennio a questa parte è screditarsi in partenza, tante sono le volte in cui l’abbiamo sentito dire. E nondimeno oggi suona a chi conosce il quadro internazionale nel quale ci muoviamo. Guerra, inflazione e quindi rialzo dei tassi di interesse, cronicizzazione della pandemia, confronto strategico con la Cina, ristrutturazione della globalizzazione, momento “del dunque” sulla transizione ecologica ed energetica dovrebbero far passare quasi a chiunque la voglia di sperare di andare al governo. La politica italiana ha imboccato una curiosa via: presentare programmi elettorali non corredati, come in passato, da misure palesemente incredibili – qui il fallimento del populismo e l’eredità del governo Draghi si toccano con mano – ma consistenti in un elenco di cose più o meno giuste da fare senza indicare priorità né vincoli di ordine finanziario.
È vero che i programmi servono a prendere voti, ma l’eccesso di promesse elettorali è premessa di disillusione. Anche per questo l’astensionismo in Italia non cessa di crescere. Il programma ideale dovrebbe contenere poche priorità strategiche corredate, come in una ideale partita doppia, dalle poste di bilancio dove reperire le ingenti risorse.
Negli anni scorsi sono state fatte anche cose buone: penso all’addolcimento della legge Fornero rispetto ad alcuni eccessi, a provvedimenti strutturali contro la povertà come il reddito di cittadinanza, ai bonus edilizi ed energetici. Ma con due limiti che hanno rovinato il buono che c’era: la cattiva progettazione e realizzazione e il finanziamento in deficit.
Si ha voglia di confrontare sinotticamente i programmi dei partiti. Senza indicazione di coperture si tratta di scegliere il libro dei sogni (anche se in tono minore) più bello.
I programmi delle forze politiche, ormai tutte interclassiste, cercano di dare una risposta a ognuna delle mille categorie, pure quelle palesemente in contrasto (come i consumatori e i balneari, per dire), senza scegliere davvero. Ma i tempi sono cambiati anche solo rispetto a cinque anni fa. È bene mettersi in testa che oggi i vincoli “esterni” non sono più solo da “zero virgola” dei Trattati europei che minacciano l’ira di Dio, ma anche e soprattutto dalle condizionalità annesse alla valanga di risorse che sta arrivando. Gli spazi per una fuga dalla realtà sono minimi: ogni eccesso viene punito, prima che dai mercati, dalla perdita di risorse preziose.
Qualunque governo sarà tenuto pertanto a portare avanti esattamente le riforme avviate dal governo Draghi: riforma dello Stato sociale, graduale riduzione del carico fiscale in corrispondenza al recupero di gettito dall’evasione, riforma della pubblica amministrazione e della giustizia, rilancio del sistema dell’istruzione e della formazione, infrastrutture in stretta connessione con la rivoluzione tecnologica e la transizione ecologica, riequilibrio territoriale. Tantissima roba. Solo in via interstiziale c’è spazio per le famose bandierine dei partiti e per i temi più divisivi.
Benché i programmi siano pieni di spunti interessanti e anche di convergenze inattese, manca ancora un bagno di realtà sul contesto dei vincoli e sulla finestra autunnale che il prossimo parlamento si troverà a fronteggiare. L’elenco che abbiamo fatto si ritrova nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, nei discorsi parlamentari di Draghi e nel discorso della rielezione di Mattarella. È l’embrione di una politica nazionale in attesa di realizzazione da molto tempo ed è veramente difficile da etichettare come di destra o di sinistra.
Marco Plutino è Costituzionalista