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Via l’associazione dei Fazio per la movida? Bari non può permetterselo

La prima volta che sono entrato in quel luogo che ora chiude definitivamente sono rimasto un po’ basito. Un po’ perché avevo tutt’altra idea di come dovesse essere un’associazione, un po’ perché gli astanti scattarono tutti in piedi distogliendosi e nascondendo il gioco a carte con cui si intrattenevano. Mi riconobbero subito e fui omaggiato con un silenzioso rispetto come poche volte in vita mia: ero l’autore del libro appena edito sulla storia tristissima di Michele Fazio (il primo e pure tardivo), e quel luogo, nato all’indomani dell’assassinio, era il simbolo di un cammino nuovo che iniziava con tenacia e ostinazione. Sono spesso tornato in quei locali rustici tappezzati di foto importanti di scolaresche e ospiti famosi, per il presepe e per i mille appuntamenti che con gli immancabili Pinuccio e Lella Fazio si sono combinati lì.

È stato così che un posto ritenuto minore e informale, di poco impatto e tipicamente rustico, ha assunto i suoi connotati più profondi e simbolici. L’associazione “Michele Fazio” nacque immediatamente dopo la morte violenta di Michele, quindi nei primissimi anni Duemila, esattamente nel 2004, quando quei luoghi erano ancora terra di nessuno e appannaggio mafioso. Tale esperienza fu tra i primi segnali di protesta e di rivolta della famiglia ad un sistema tacito e ormai radicatissimo: un modo molto forte per dire che no, proprio non ci stavano all’adattamento omertoso e al silenzio complice.

L’associazione doveva essere un luogo di ritrovo per quanti, soprattutto abitanti del quartiere di Bari vecchia, si schieravano con la famiglia Fazio e con la campagna di rivolta, grido ed impegno che facevano nascere. Chi entrava lì, quasi tutti del quartiere, faceva una scelta netta, chiara: una scelta di separazione con i clan che allora operavano su quel territorio. Non a caso quei locali erano posizionati proprio sotto il fascinoso Arco Meravigli che separava fisicamente, fin dagli anni Novanta, il territorio controllato dal clan Capriati da quello controllato dalla famiglia degli Strisciuglio. Un luogo di scelte, una frontiera di passaggio, tante volte una trincea.

Installarsi lì significava gridare nel gergo della gente di Bari vecchia a quelli di Bari vecchia che era possibile una zona franca senza contese e senza affrancamenti. Significava, in anni ancora privi di movida, dire alla città perbenista e borghese che per conoscere la storia di Michele Fazio bisognava inoltrarsi nel cuore del centro storico malato e convulsivo per i colpi di kalashnikov. E che occorreva farlo, anzi era assolutamente urgente, perché lì si era consumata la strage spartiacque della storia della criminalità barese, e lì ripartiva la città diversa, che in questi anni ha fatto passi da gigante grazie alla famiglia Fazio e all’enorme carico di antimafia sociale che hanno innescato ovunque.

Adesso l’associazione chiude. I locali ritornano al proprietario: esigenza di movida? Non so, ma spero che non sia questo un simbolo del tempo che è passato e che dice che i luoghi dell’antimafia servono piuttosto per affitti importanti e più remunerativi turisticamente.

Sarebbe un simbolo che Bari oggi non può e non deve permettersi. Anche perché la storia di Michele e dei suoi eroici genitori continua sempre, partendo dai luoghi della loro casa dove avvenne la strage fino ai cuori di quanti hanno cambiato per sempre la loro posizione verso la città grazie alle parole che hanno saputo dirci con il loro linguaggio verace e sincero.

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