La recente visita del generale ed europarlamentare leghista Roberto Vannacci in Capitanata ha riacceso i riflettori su un modo di fare politica che, invece di unire, divide e, anziché dialogo, semina sospetto. È giusto, dunque, fermarsi a riflettere, soprattutto per chi, come me, si riconosce nei valori liberaldemocratici.
Dire no a Vannacci non significa negare il diritto di parola a nessuno. Significa affermare che ci sono valori – come il rispetto delle diversità, la tutela dei diritti individuali, la difesa della democrazia liberale – che non sono in alcun modo negoziabili. La Capitanata, del resto, è una terra complessa, fiera, aperta. Qui il disagio sociale, l’abbandono delle istituzioni e le disuguaglianze non si risolvono con slogan militari o nemici immaginari. E quindi servono soluzioni, ascolto, inclusione.
Le parole e le idee portate da Vannacci vanno nella direzione opposta. Propongono una società rigida, autoritaria, chiusa. Una società che non riconosce l’altro, che mette in discussione conquiste civili fondamentali, che trasforma la diversità in colpa.
Un liberaldemocratico dice no a tutto questo. Dice no non per paura, ma per responsabilità. Dice no perché crede che l’Italia, e la Capitanata in particolare, meritino una politica seria, rispettosa, umana. Dice no perché ama la libertà. E la ama davvero.