Un’alternativa alle politiche di Giorgia Meloni esiste, ma la Cisl la ignora

Allo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil per il 29 novembre, la Cisl non aderirà: una scelta che si rinnova per il terzo anno consecutivo. Una linea che colloca il sindacato di ispirazione cattolica in una posizione di sostanziale collaborazione con il governo Meloni che, secondo i dirigenti Cisl, ha accolto diverse rivendicazioni dell’organizzazione: in primo luogo il taglio del cuneo fiscale e contributivo, che è stato reso strutturale ed esteso fino ai 40mila euro di reddito; la fusione delle prime due aliquote Irpef, che la Cisl considera una misura concreta di tutela di retribuzioni più basse; la defiscalizzazione al 5% sui salari di produttività; i vari provvedimenti a sostegno delle famiglie, la rivalutazione delle pensioni in relazione all’inflazione, il rifinanziamento dell’Ape sociale, la proroga di quota 103 e opzione donna. Poche le criticità evidenziate dalla Cisl che si concentrano essenzialmente sul taglio strutturale agli organici della scuola e sulla difesa delle pensioni minime.

Assumendo questa sua posizione pragmatica, la Cisl rivendica la sua autonomia e la netta distinzione rispetto alle dinamiche della politica, richiamandosi addirittura alla sua radice fondativa e ribadendo le ragioni che portarono nel 1950 alla rottura dell’unità sindacale, stabilita nei Patti di Roma del 1944, allo scopo di sottrarre parte dei lavoratori alla egemonia politica social-comunista. Ma può una organizzazione sindacale essere politicamente neutrale? Il pragmatismo di per sé è una scelta politica, in quanto segna la rinuncia ad una visione programmatica di lungo periodo appiattendosi sulla stretta prospettiva delle misure contingenti. Il pragmatismo segna la sostanziale adesione alla politica di quello che la Cisl chiama governo legittimo e rivela l’impotenza a proporre una visione alternativa.

Il pragmatismo è la conseguenza di una crisi di progettualità. Le attuali rivendicazioni di autonomia dalla politica, in particolare da quella dell’opposizione, avanzate dalla Cisl sono molto diverse rispetto a quelle formulate settanta anni fa. All’inizio degli anni Cinquanta vi era uno scontro ideologico e il mondo cattolico compiva una scelta di campo militante contro l’egemonia marxista sul movimento sindacale, rivendicando un proprio spazio. Oggi non esiste alcuna motivazione ideologica, ma le scelte sono politiche e riguardano la visione del futuro di questo paese.

La scelta della Cisl (che rappresenta circa 4 milioni di iscritti, rispetto ai 5 della Cgil e ai 2 della Uil) rivela che una parte del sindacato, più legata al mondo cattolico, condivide il programma economico del centrodestra, oltre a sostenere gli stessi valori tradizionalisti e conservatori sul piano culturale. Aderendo alle posizioni governative, la Cisl nega nei fatti quell’autonomia che con forza ha rivendicato sul piano del metodo della sua azione. Ogni scelta di politica economica ha la sua alternativa, lo sciopero indetto da Cgil e Uil ha lo scopo di rivendicare l’esistenza di scelte alternative a quelle adottate dal Documento programmatico di bilancio 2025, evidenziando che l’obiettivo del risanamento finanziario di questo paese non può sempre pesare sulle classi lavoratrici e sugli ultimi.

Di fronte alla struttura del capitalismo contemporaneo, non più in grado di assicurare mobilità sociale e ridurre le disuguaglianze, e di fronte ai vincoli imposti dalla moneta unica, l’alternativa all’attuale politica economica può essere solo un’imposta progressiva sul patrimonio, che sposti il peso del risanamento dai redditi da lavoro alle rendite patrimoniali e finanziarie, liberando risorse per investimenti in infrastrutture e formazione, necessari a garantire un meccanismo virtuoso di sviluppo. Si tratta di scelte politiche alternative che la Cisl evidentemente non intende sostenere e che certo non riguardano la difesa della propria autonomia.

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