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Una strage che va fermata

In Puglia nel 2022 si sono registrati 51 morti sul lavoro, praticamente quasi una vittima a settimana. Ma non solo. Drammaticamente grave risulta anche il dato relativo agli infortuni: quelli registratisi in occasione di lavoro sono stati ben 25.603: incidenti che spesso significano gravi menomazioni fisiche e stress correlato, con una media di 70 episodi al giorno.

Si è clamorosamente abbassata l’età media degli incidenti mortali, a nostro avviso legato al diffuso precariato che colpisce soprattutto i giovani e che mette – qualunque sia l’età – il lavoratore in una condizione di soggezione e ricatto che gli impedisce di esigere il rispetto delle norme. Di contro, non inusuali i casi di infortuni mortali in cui il lavoratore ha oltre 65 anni, fino a casi limite come quello di ieri a Bari, dove l’operaio deceduto aveva 78 anni. Possono essere diverse le ragioni che spingono a lavorare a quell’età, di sicuro quella che non è accettabile è il bisogno economico, l’impossibilità di aver raggiunto una pensione che permette di vivere in maniera dignitosa.

L’Italia possiede una delle normative più avanzate in ambito europeo sul rispetto della salute e sicurezza sul lavoro, eppure ogni anno siamo costretti a contare 1200 morti, un dato in crescita dopo gli anni della pandemia. Un’emergenza che avvertiamo come detto forte anche in Puglia, tanto da aver dedicato all’interno dei lavori del nostro congresso regionale, lo scorso 25 gennaio, un focus specifico nel quale abbiamo ospitato il viceministro alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto; il direttore dell’Inail regionale, Giuseppe Gigante; l’assessore alla Salute della Regione Puglia, Rocco Palese; la segretaria nazionale della Cgil, Francesca Re David. Perché, a fronte appunto di una normativa avanzata, questa strage non si arresta?

È in corso un confronto con l’attuale Governo sulla materia, dopo che il precedente Ministro del Lavoro Orlando ha proceduto finalmente a rinforzare gli organici ispettivi con l’assunzione di duemila nuove figure. Non tutte saranno destinate alla vigilanza e la dimensione dei numeri sopra accennati rendono evidente come occorre ancor più investire in prevenzione, in formazione – di lavoratori e imprenditori -, a nostro avviso di limitare il precariato, e laddove non si applichino leggi e contratti, rafforzare la vigilanza e inasprire l’impianto normativo. Altro che nessuno disturbi chi produce, altro che voucher!

In verità dall’attuale Governo i sindacati confederali hanno ricevuto poche risposte, se non la disponibilità a un confronto articolato su più tavoli. Incontri ai quali sono stati invitati decine e decine di soggetti tra rappresentanti delle imprese, dei lavoratori, delle istituzioni, degli organismi di controllo, che rendono complicati approfondimenti di merito a partire dalle proposte della piattaforma comune elaborato da Cgil Cisl Uil. Che insistono sulla necessità di indire la cosiddetta patente a punti già prevista dal testo unico sulla sicurezza, a fronte di un dato che vede aumentare gli infortuni più si riduce la dimensione dell’impresa, il che comporta evidentemente minori investimenti e capacità organizzativa. E quindi risorse per la necessaria formazione, che investa anche i datori di lavoro, unificazione delle banche dati tra Inail, Inps, Regione, Asl etc, per meglio coordinare la vigilanza. Occorre potenziare gli organici a ogni livello, vanno sostenute con fondi pubblici le imprese che mettono in campo una progettualità di prevenzione in accordo con i lavoratori e le sue rappresentanze. Va, in ultimo, messo mano a una riforma strutturata del sistema previdenziale che riconosca i lavori gravosi, che impedisca a chi svolge lavori pericolosi di dover lavorare anche oltre i 64 anni. Se non si fa tutto questo, chi ha compiti di responsabilità e non interviene verserà lacrime di coccodrillo nella conta delle vittime sul lavoro ma troverà la mobilitazione del mondo del lavoro. Perché questa strage deve finire, una volta per tutte.

Pino Gesmundo è segretario regionale della Cgil Puglia

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