Una nuova sofferenza per gli internati militari italiani

La recente decisione del Tribunale di Roma, pronunciata dal giudice Persico, segna una pagina buia nella storia della giurisprudenza italiana e risulta un atto di profonda ingiustizia nei confronti dei 600 mila Internati Militari Italiani (Imi) durante la Seconda Guerra Mondiale.

In sostanza, il Giudice ha stabilito che gli Imi non possono essere considerati vittime di crimini di guerra o contro l’umanità perché sarebbero stati trattati alla stregua di prigionieri di guerra (PoW), obbligati a lavorare agli ordini di Hitler. Questa conclusione appare non solo errata ma anche insensibile, poiché sostiene che, senza prove di abusi “ulteriori”, gli Imi non avrebbero subito violazioni tali da poter chiedere risarcimenti. Così, il Tribunale ha negato la giurisdizione italiana dichiarando che la Germania gode dell’immunità.

Questa linea interpretativa risulta sorprendente e senza precedenti nella giurisprudenza italiana. Anche la sentenza della Corte costituzionale n. 238/2014, che negava l’immunità alla Germania, riguardava un Imi. In più, le testimonianze storiche e le innumerevoli pubblicazioni confermano il calvario di queste persone, deportate e costrette a lavorare nelle industrie belliche del Terzo Reich in condizioni disumane. Ma come può una decisione del genere essere giustificata? La realtà dei fatti dimostra che questa sentenza tenta di arginare il flusso di richieste di risarcimento, alimentato anche dall’istituzione del Fondo per le vittime del Terzo Reich.

Dopo la creazione del Fondo, più di mille cause sono state avviate, e forse questa improvvisa “inversione di marcia” giurisprudenziale è solo un tentativo di alleggerire il carico sui tribunali. Tuttavia, ciò non può giustificare un disconoscimento totale delle sofferenze subite da uomini che hanno sacrificato tutto. Ed è qui che il Tribunale di Roma ha fallito: affermare che gli Imi potevano essere obbligati a lavorare nell’industria bellica tedesca, senza considerare le violazioni palesi dei loro diritti, è un errore clamoroso.

I parenti degli Imi non solo si vedono negare giustizia, ma sono costretti a rivivere il dolore di una storia mai pienamente riconosciuta. È tempo che il sistema giudiziario italiano torni sui suoi passi, riconoscendo finalmente ciò che è evidente

In onore di mio padre Antonio, classe 1923, Imi

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