Dalla grande recessione del biennio 2008-2009, innescata dallo scoppio della bolla immobiliare americana e dalla conseguente crisi finanziaria globale, ad oggi, molto è cambiato per l’economia pugliese. Quasi di pari passo alla contrazione dell’industria manifatturiera e dunque parallelamente a questa fase di de-industrializzazione, stiamo assistendo alla crescita dei servizi e tra questi non possiamo non annoverare anche il turismo. Quest’ultimo è il settore che è cresciuto di più in termini numerici.
In Puglia, le attività di alloggio e di ristorazione sono salite da 17.674 a 24.592 (dati riferiti rispettivamente al 31 maggio 2009 e al 31 maggio scorso). L’incremento è stato di 6.918 imprese, pari a un aumento del 39 per cento. Questo mio studio prende in esame tutte le aziende, ad eccezione di quelle inattive e di quelle sottoposte a procedure concorsuali, iscritte nelle camere di commercio pugliesi. Il turismo viene perciò considerato trainante per l’economia pugliese.
Ma è davvero così? Se dal punto di vista quantitativo, l’analisi dei dati non lascia spazio ad interpretazioni, lo stesso non si può dire dal punto di vista qualitativo o, meglio, sul piano dei profitti per le imprese, quale differenza tra i ricavi e i costi, nonché sul piano delle retribuzioni dei lavoratori. Il comparto si caratterizza ancora oggi per la forte stagionalità e dunque resta prevalentemente concentrato nei mesi estivi. Nei periodi non «balneari», infatti, le città si svuotano, con la sola eccezione delle ricorrenze di Natale e di Pasqua, allorquando anche i parenti lontani tornano nella terra natìa. Lo confermano le costanti rilevazioni sugli arrivi e sulle presenze in Puglia.
Occorre perciò un nuovo modello di sviluppo realmente sostenibile che possa destagionalizzare il settore, incentivare gli investimenti e, conseguentemente, creare occupazione stabile e non solo temporanea. Se gli arrivi e le presenze restano elevati in estate, il dibattito deve ruotare non più sul maggiore afflusso dei visitatori, quanto sugli strumenti da utilizzare per rafforzare il nostro tessuto imprenditoriale, poiché i ricavi degli operatori turistici non crescono di pari passo. Una base di partenza può essere rappresentata da quelle elaborazioni di dati e di indicatori statistici che possano rilevare non solo gli arrivi ma anche e soprattutto le attività direttamente o indirettamente legate al comparto (alloggi, ristoranti, agenzie di noleggio o di viaggio, imprese dell’intrattenimento e del divertimento), analizzando la natura giuridica delle stesse, il capitale sociale, il valore della produzione, la tipologia degli addetti, per avere un quadro chiaro non solo sulla «capacità ricettiva» della regione, ma anche sulla sua «capacità di fare profitto» da reinvestire nello sviluppo territoriale. Se ci focalizziamo sul capitale sociale delle aziende, ci si può rendere conto che il sistema è ancora fragile e non è in grado di dare seguito a nuovi e crescenti investimenti, indispensabili per centrare l’agognato salto di qualità.
Per competere sul mercato, le imprese turistiche hanno bisogno delle opportune competenze manageriali e gestionali, nonché di un’adeguata formazione del personale. La gran parte degli addetti viene ancora oggi impiegato con contratti occasionali, atipici e stagionali che non hanno portato, mentre invece dovrebbero portare, a risultati durevoli nelle dinamiche occupazionali.
Davide Stasi – responsabile Osservatorio economico Aforisma