Con la pomposa enfasi a cui questo Governo ci ha abituato, a marzo il ministro Calderoli proclamava la costituzione del Clep, il comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep), costituito da 61 «massime autorità e vertici del campo amministrativo e accademico, del diritto costituzionale, europeo e internazionale, dell’economia e della matematica». Con grande abnegazione per la chiamata della Patria e tanto coraggio, Sabino Cassese assumeva il compito di dirigere i cervelli più fini della nazione, in un compito che è ottimistico definire «drammaticamente inane». A luglio il Clep già risultava amputato di quattro finissimi cervelli, «costretti a prendere atto che non ci sono le condizioni per una partecipazione ai lavori», come scritto in una lettera al ministro.
Tra i dimissionari anche Giuliano Amato e Franco Bassanini che pare siano tra i responsabili politici della riforma costituzionale del Titolo V del 2001 alla base di questo grosso pasticcio dell’autonomia differenziata. Onore, quindi, agli altri 57 eroi della Patria che restano (a titolo gratuito bisogna dirlo) sulla barca che sta affondando, insieme col capitano Cassese. E che la barca dei 57 eroi stia affondando è provato dall’ultimo documento del sottogruppo 9 del Clep che ha il compito di definire il coordinamento della finanza locale, trasmesso alla Commissione Affari costituzionali del Senato.
Nel documento il comitato dei saggi affronta il tema cruciale del finanziamento dei Lep e scarta di fatto l’ipotesi di finanziamento basato sulla compartecipazione al gettito fiscale, prevista dal ddl Calderoli. In questo meccanismo, i Lep (nel campo dell’istruzione e della sanità, per esempio) verrebbero finanziati devolvendo alla regione parte dei tributi erariali statali (Irpef e/o Iva) incassati nella regione stessa in una percentuale pari alla spesa da finanziare.
Il meccanismo previsto dal ddl, una volta messo in moto, aggraverebbe i divari territoriali: in sostanza le regioni più ricche, con una dinamica del reddito crescente, otterrebbero sempre di più e quelle più povere, invece, con risorse fiscali locali insufficienti, dovrebbero essere sostenute dall’intervento statale per finanziare i sacrosanti Lep stabiliti per legge. Ne deriverebbe un crescente aggravio per le finanze statali, «ponendo rischi per le compatibilità finanziarie aggregate», cioè per la stabilità del bilancio pubblico. Ovviamente, come accade in altri ordinamenti federali, occorrerebbe un meccanismo di perequazione interregionale che redistribuisca continuamente le risorse, il che implicherebbe ovviamente un prelievo fiscale aggiuntivo a carico delle regioni più ricche, o in alternative ridurre altre voci di spesa, magari egualmente importanti per i diritti di cittadinanza.
Bene: i 57 cervelli più fini della nazione, dopo ampie discussioni, per giunta gratis, hanno compreso che in una economia dualistica meccanismi di autonomia fiscale hanno l’effetto di incrementare i divari territoriali. È evidente che se si stabiliscono per legge i Lep (ma non è ancora chiaro come il Clep li abbia definiti) l’intero sistema previsto da Calderoli comincia a scricchiolare pericolosamente. Il risultato finale dell’introduzione dei Lep potrebbe essere controproducente per i cittadini delle Regioni settentrionali che si troverebbero ancora una volta a sostenere il peso del Mezzogiorno. Così, grazie alle insanabili contraddizioni del suo ddl, il ministro Calderoli più che l’artefice dell’autonomia differenziata, rischia di essere il suo definitivo liquidatore.