Il Paese ha votato e non proprio banalmente. Il risultato è chiaro: almeno sulla carta non ci sarà da ricercare maggioranze in Parlamento. L’affluenza è calata ancora, ma non tanto come avvenuto in altri Paesi europei. Chi va a votare sceglie. Il risultato può poi piacere ad alcuni e ad altri no. Quelli a cui non piace, tra l’altro, in quasi tutte le tornate sono sempre in numero maggiore rispetto al 50% della popolazione, ma questo è il frutto marcio di una legge elettorale che nessuno vuole cambiare, fatta eccezione per la recentissima e apprezzabile posizione di Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci che ne ha proposto la immediata modifica, e che crea una maggioranza in Parlamento e una nel Paese. Sarò fuori dal coro, ma una legge proporzionale con le preferenze e con premio di maggioranza avrebbe consentito una competizione vera e avrebbe costretto a fare politica, prima i candidati nella campagna elettorale più di facciata della storia della nostra Repubblica e poi gli eletti che, nella fase storica più delicata del Paese non dovranno sbracarsi nella mediazione che aiuta a fare cose buone e nell’interesse di tutti, accomodati nelle comode maggioranze e minoranze spesso alibi per rinunciare alla fatica del dialogo. È indubbio, però, che il popolo dei segnali li ha dati. Sicuramente di alternanza e non vale la ragione di chi ha perso, che afferma che chi ha il 42-43% del Paese dalla propria parte, non è maggioranza. Altrimenti bisognerebbe tener conto anche della massa di elettori astenuti che rappresentano con l’ultima tornata, per la prima volta, il più grande partito di maggioranza relativa del Paese.
È altresì vero il tema espresso da Giuseppe Conte quando afferma che, con un elettore su tre astenuto, aver vinto le elezioni non autorizza riforme non concertate con le opposizioni rappresentando espressamente la maggioranza di governo del Paese solo il 43% del 64% circa del Paese stesso. Il tema introdotto dall’ex premier e può diventare particolarmente interessante, se usciamo dal recinto dell’aritmetica elettorale, della dialettica maggioranza/opposizione e della rappresentanza per addentrarci nel tema etico già affrontato in una precedente riflessione nel contesto del conflitto russo-ucraino dell’abbraccio del nemico.
Grazie alla mia esperienza associativa nelle Acli, ho conosciuto Giorgia Meloni, prima per i suoi ruoli in Azione Giovani, poi da vicepresidente della Camera e poi ancora molto giovane ministra della Gioventù.
Non la vedo da quando, assieme a Raffaele Fitto, fu ospite del congresso nazionale dei giovani delle Acli di Bologna che nel dicembre 2008 mi congedò dal mandato di segretario nazionale. Il carattere della futura premier era indubbiamente simpatico e gioviale, sul pezzo sui temi politici e sociali. Se ha conservato quel profilo – non me ne vogliano a sinistra – c’è molto poco di neofascismo e anche una adeguata apertura al confronto. La presidente in pectore ha una straordinaria occasione, amplificata e non esautorata nel simbolo di essere la prima donna a Palazzo Chigi, che risiede nello sdoganare la sua per me ingiusta immagine di essere una “schiacciatrice” del nemico.
Servirebbe al panorama politico per maturare nella direzione della pacificazione sociale su cui costruire un clima ri-costituente, l’unico che può farci ripartire nel dramma sociale che la popolazione sta vivendo, troppo ancora minimizzato in nome dell’evitar terrorismi psicologici che non possono però nemmeno essere soffocati, perché i fatti son fatti e alcuni di questi, come le speculazioni su energia e gas, quelli delle banche sui tassi di interesse, l’inflazione, la povertà non soggiacciono alle percezioni psicologiche, ma gridano nella loro oggettiva drammaticità. Servirebbe a utilizzare bene il Pnrr, non immergendolo nelle polemiche e nei conflitti, che sciuperebbero la più grande iniezione di risorse pubbliche dal dopo guerra. Servirebbe a costruire il terreno fertile per cacciare i mercanti dal tempio, quelli che si innestano nelle divisioni del Paese e che hanno inondato le file della immeritocrazia. Servirebbe a trovare la quadra e a derubricare dal conflitto almeno i temi cruciali del Paese: salute e welfare, benessere sociale e povertà anzitutto.
È arrivato il tempo del buon senso e della verità! Basta mettere ricchi contro poveri, malati del Sud contro quelli del Nord, immigrati contro cittadini, contribuenti regolari contro evasori. Si competa su chi è più capace, su chi è onesto e chi no, su chi vuole bene a tutti gli esseri umani, su chi non vuole disuguaglianze e chi egoisticamente sì; su chi sceglie la via della competenza, della passione e del sacrificio e chi invece sguazza nella immeritocrazia aspettando che i frutti del sistema un giorno lo privilegino nella lista d’attesa delle scorciatoie. È il tempo delle soluzioni, non delle analisi. È la stagione politica più adatta per mettere a confronto idee e proposte, mediandole con il pensiero altrui: la stagione dell’abbraccio del nemico sarà quella giusta che inizia con questa legislatura? Il Paese la vuole, il dna del Paese che ospita Santa Romana Chiesa pure. Qualcuno potrebbe restare senza mestiere, ma il beneficio complessivo sarebbe talmente utile da far svoltare il Paese tutto. Riuscirà la legislatura targata Meloni a bucare il muro di gomma fintamente democratico di leggi elettorali conserva casta e del conflitto come metodo di governo e opposizione di autoconservazione del potere? Trasformerà, Giorgia Meloni, il miracolo elettorale che l’ha portata in pochi anni a moltiplicare per 6 e per 7 le sue cifre elettorali, nel miracolo etico e sociale dell’abbraccio del nemico, rimuovendo l’etichetta di una destra c’è più? E la sinistra si evolverà nelle forme della socialdemocrazia moderna che si depura dei veleni e delle polemiche e si veste da interprete autorevole e competente di una sensibilità spiccatamente sociale? O dopo Conte, anche su questi temi, si assumerà il rischio che sia proprio la Giorgia nazionale a sorpassare a sinistra anche Pd e compagni?
Gianluca Budano è welfare manager