Un nuovo modello di movida che non faccia golaalla criminalità

Ad una settimana dai fatti di Molfetta e dalla morte di una giovane 19enne, quando finalmente il sipario con tutta la sua pruderie di curiosi sembra chiudersi per lasciare spazio a chi ha il dovere di indagare e capire, qualche considerazione che non sia meramente di parte bisogna pur farla, quantomeno per definire il nostro ruolo di società civile. Dopo la bagarre e il tuffo dei media su un episodio oggettivamente grave, resta il dopo, resta l’ancora.

Più volte, in tempi passati, dalle pagine di questo giornale, insieme all’amico Domenico Mortellaro si è parlato degli intrecci tra camorra barese e movida, e non intendo aggiungere altro a quanto detto e pubblicato. Però un monito resta chiaro, definitivo: la camorra si muove dove ci sono soldi, dove il flusso del mercato può garantire alcool, spaccio, droghe chimiche e tutto ciò che movimenta il mercato del crimine, dove i soldi e la folla sono facili e assai.

Dunque un territorio e una politica che investono in un turismo commerciale, fatto di locali e di movida giovanile consumistica e disponibile ad esperienze forti, un turismo che ignora una gestione contenitiva dei movimenti e dei controlli, un turismo che punta su locali e discoteche e non anche su cinema e spazi alternativi e culturali, è un turismo che attira la camorra, è un turismo che la camorra frequenta (a vario titolo, come recenti fatti di Molfetta sembrano confermare), è un turismo che genera disordine, analfabetismo sociale, e soprattutto alimenta il traffico della malavita.

Si aggiunga la spregiudicatezza di boss giovani e senza passato di paternità tradizionalistica, come nel nostro caso: ripeto, si tratta di boss giovani e in forte bisogno di ascesa che non tollerano alcuna forma di impedimento, che rendono il gioco veramente complesso perché veramente disposti a tutto.

Tutto il nostro litorale, a partire da Barletta per arrivare a Monopoli e dintorni, è un ridanciana fabbrica del divertimento, non è più propriamente lo spazio del mare e del panorama e della proprietà condivisa del nostro naturalismo. È piuttosto lo spazio, sempre degenerabile, di concessioni commerciali e di movimenti notturni non calmierati e non controllati. È lo spazio del mondo fluttuante della cosiddetta “Bari da bere” in cui io non mi riconosco affatto.

Un piano turistico di rilancio e di valorizzazione deve urgentemente passare attraverso proposte di coinvolgimento dei giovani in iniziative di animazione del territorio e in un rilancio intelligente dello stesso come proprietà demaniale condivisa e partecipata, che non chiede solo ed esclusivamente discoteche e locali, ma anche spazi liberi di abitazione: che magari non procurano soldi, ma senza dubbio creano cittadini capaci di scorgere panorami lontani che radichino l’amore per la propria terra.

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