Il rapporto della Banca d’Italia è un documento di estremo interesse sul piano scientifico, ma anche per i non addetti ai lavori, perché illustra e analizza in maniera rigorosa e ben comprensibile le ragioni profonde del divario Nord/Sud. Mi limito a menzionare tre profili: il calo demografico, la frammentazione del mercato del lavoro, la povertà educativa. Nel loro intreccio risiede l’incombente rischio della desertificazione economica, culturale e sociale del Mezzogiorno.
Come si legge nel rapporto, “le regioni meridionali mostrano un significativo ritardo nella produzione di capitale umano e crescenti difficoltà nel trattenere sul territorio i giovani più qualificati”. È nota la minore incidenza di laureati tra i giovani meridionali, così come è noto il fenomeno dell’esodo verso il Nord per motivi di studio universitario, che anticipano la ricerca del futuro lavoro.
Assai importanti sono pure le considerazioni relative all’accentuazione dei divari territoriali dovuta alla pandemia. Il discorso è complesso. Mi limito a segnalare un dato, certamente non il principale, ma che mi ha molto incuriosito: nel rapporto si legge che “nel corso della seconda ondata epidemica, relativa all’anno scolastico 2020-21, le sospensioni della didattica in presenza sono state molto più frequenti nelle regioni meridionali rispetto al resto del Paese”.
Quanto all’occupazione, il rapporto segnala la prevalenza “nel settore privato del Mezzogiorno di comparti a più basso contenuto di conoscenze a cui si associa una minore qualità media dei posti di lavoro”.
Si tratta di considerazioni utilissime, perché – spesso – quando si parla di occupazione ci si dimentica di studiarne la qualità (come, invece, il Rapporto fa attentamente), rispetto a parametri come la professionalità implicata, il livello retributivo, la stabilità o, addirittura, la regolarità dell’impiego. Del resto, già i dati dell’Osservatorio Inps sul precariato ci dicono che “su base biennale particolarmente rilevante risulta la crescita dei contratti diversi dal tempo indeterminato” in 5 regioni, tra cui proprio la Puglia.
Per queste ed altre ragioni, è veramente essenziale che gli operatori pubblici (in primis, il decisore politico) colgano l’occasione cruciale (citando il Rapporto) per avviare una nuova stagione progettuale.
Roberto Voza è professore di Diritto del lavoro all’università di Bari