Caro direttore, la Puglia sta per vivere un nuovo ciclo, e non solo perché le elezioni regionali sono alle porte e terminano questi venti anni che come amministratori e amministratrici ci hanno visto impegnati su numerosi fronti, molti dei quali emergenziali e altri ancora in transizioni come quella energetica, ambientale e digitale, ma anche perché dietro l’angolo si profila un pericoloso rischio che influenzerà le sorti del futuro della nostra regione e dei suoi cittadini.
La questione è che per molti Bruxelles sembra lontana e le sue decisioni le avvertiamo solo quando ne percepiamo le conseguenze sulla nostra quotidianità, ma allora è troppo tardi. Per questo vorrei porre l’attenzione su quello che sta accadendo in questi giorni tra Bruxelles e Strasburgo, affinché parta dai territori una forma di ribellione costruttiva.
Mi riferisco alla nuova riforma delle politiche di coesione che arriverà il 16 luglio in discussione nella Commissione europea. Lo dice la parola stessa, “coesione”, quell’impegno alla base della nascita dell’Unione europea in cui nessun territorio deve essere lasciato indietro, quella coesione che deve colmare i divari tra ricchi e poveri. Quella coesione che ha permesso in questi anni alla Puglia e al Sud di crescere più del Nord. Con quelle risorse abbiamo sostenuto bandi per le imprese, finanziato start up e formazione, abbiamo investito sulla cultura. Ma tutto questo ora potrebbe arrestarsi. Alle nostre latitudini in pochi ne parlano e in realtà non se ne parla molto neanche a Roma.
La riforma in discussione in questi giorni prevede in sintesi l’esclusione, nell’assegnazione delle risorse, del coinvolgimento dei territori accentrando il sistema e il controllo a livello nazionale. Cosa significa questo? Che non si partirà più dai reali bisogni locali. Una contraddizione in termini se si parla di “politiche di coesione”. Non solo, questo vuol dire anche lasciare a livello nazionale la decisione di come utilizzare e impiegare le risorse. E perché no, anche per colmare il debito per l’acquisto delle armi. A pensar male, a volte ci si azzecca.
Ma attenzione, la decisione sulla distribuzione delle risorse deve comunque dipendere da riforme che devono ottenere il via libera dall’Unione europea. La coesione rischia di diventare moneta di scambio. E questo farebbe aumentare non solo il divario tra gli Stati, ma anche acuire le differenze tra i territori di uno stesso stato. Come nel caso dell’Italia che, a causa dei suoi divari interni, in questi anni ha ricevuto più fondi degli altri. Risorse che avevamo permesso al nostro Paese di intraprendere un cammino verso un riequilibrio che ora però potrebbe arrestarsi. Tutto questo rischia di allontanare sempre più i cittadini dall’Europa lasciando enormi spazi ai sovranismi.
Se questa è l’intenzione, allora è chiaro anche perché il nuovo Piano delle aree interne, voluto da questo governo nazionale, prevede “l’accompagnamento al declino di queste aeree a causa dello spopolamento” e non una forma di reazione ed interventismo per cercare di curare queste comunità. Le due cose sono collegate, senza politiche di coesione queste aree moriranno del tutto. Ma non solo queste. Il problema dello spopolamento sta attraversando Italia intera e bisogna affrontarlo senza rinvii e soprattutto con concretezza.
Due sono le leve su cui dovremmo concentrarci. La prima, appunto, riguarda il nuovo ciclo delle politiche europee di investimento post 2027. Occorre rafforzare la coesione ponendola al centro degli investimenti europei per governare i processi di transizione, inclusa quella demografica, ma anche per rafforzare i diritti della cittadinanza europea sui temi dell’inclusione, dei servizi sociali, del ciclo istruzione-formazione e lavoro. La seconda riguarda il fronte interno del nostro Paese, dove occorre promuovere una seria politica di revisione di bilancio volta a definire nuove priorità dell’agenda di governo che metta ai primi posti le strategie di contrasto al crollo demografico, di rilancio dell’offerta dei servizi essenziali per la cittadinanza, di competitività per le imprese di piccole dimensioni per la creazione di nuovi e duraturi posti di lavoro. È, in definitiva, una questione di priorità e ce ne sono alcune che non devono dipendere dall’ideologia politica di un governo, ma devono essere universali perché riguardando il diritto all’esistenza e alla vita delle persone.
Loredana Capone è presidente del Consiglio regionale della Puglia
Bentornato,
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