È una delle parole che usiamo con maggiore frequenza nelle espressioni verbali e nella scrittura, celebrata dalla letteratura di tutti i tempi e dalle rappresentazioni artistiche, studiata dalle scienze sociali e presente anche, se non soprattutto, nei nostri quotidiani pettegolezzi. Nel tempo che ci tocca vivere, si è perfino trasformata in un appellativo, fastidiosissimo, che molti adolescenti, e non pochi adulti (con evidente sindrome di ritorno all’adolescenza), usano per chiamarsi reciprocamente: “amò”. Cosicché la parola amore accompagna da sempre e di nuovo la specie umana.
La guerra di Troia, e l’intramontabile poema omerico che ne racconta la storia, scoppiò perché la bella Elena “abbandonò il marito e fuggì verso Troia, per mare”, come recitano i versi della poetessa Saffo, scritti sette secoli prima dell’età cristiana, dove si canta l’amore impetuoso di una donna che “non ebbe pensiero per sua figlia, per i cari parenti”. Nel poema successivo invece, Omero ci mostra l’amore fedele di Penelope che, in attesa di Odisseo, tenne a bada con stratagemmi e astuzia le pressanti insistenze dei suoi impazienti pretendenti.
Le società antiche e moderne, a qualsiasi latitudine, sebbene in forme diversissime tra loro, hanno elaborato regole sociali e norme giuridiche, rituali e consuetudini per disciplinare una manifestazione umana universale la cui forza altrimenti sarebbe travolgente. Vedremo, però, che l’impulso sessuale e la riproduzione biologica giocano un ruolo, nelle relazioni d’amore, sì fondamentale ma forse sopravvalutato.
Le narrazioni del sentimento amoroso hanno mostrato spesso una vena romantica, ben prima dello stesso Romanticismo storico. Si pensi all’amor cortese medievale e al ruolo idealizzato della donna. Storie di passioni contrastate da vincoli e limiti dell’ordine sociale. In realtà, nelle società tradizionali la norma era che i matrimoni fossero stipulati non dalla coppia interessata ma dalle famiglie, che in tal modo tutelavano il mantenimento della posizione economica, del potere d’influenza e di eventuali titoli nobiliari. La famiglia estesa, patriarcale, svolgeva così una funzione, oltre che protettiva, di assegnazione ai suoi componenti di posizioni e ruoli sociali.
Nella modernità, l’amore si presenta con una duplicità d’aspetto: per un verso è un’emozione che vorrebbe trascendere i vincoli culturali e sociali, inducendo l’individuo a credere di essere libero di scegliere un qualsiasi partner o, almeno, di poterci provare; dall’altro, in particolare per i ceti borghesi e piccolo-borghesi, è un dispositivo che permette mobilità e ascesa sociale, dinamiche squisitamente moderne.
È in questa ambivalenza che si manifesta il dilemma dell’amore nella contemporaneità: un sentimento apparentemente disinteressato che deve comunque conciliarsi con la scelta di un partner che garantisca protezione da cadute di status, anzi di più, che possa accrescere la posizione sociale ed economica di entrambi i partner. Ma come è possibile innamorarsi lealmente di qualcuno e ritenerlo contemporaneamente un “mezzo” che possa assicurare vantaggi personali? E come si può vivere una passione entusiasmante senza perdere di vista la “distinzione” della posizione sociale che quella relazione potrebbe garantire?
Quando ci innamoriamo, scegliendo una persona a cui rivolgere la nostra passione amorosa, lo facciamo servendoci di una configurazione di “valutazioni sentimentali” i cui criteri sono sociali, culturali e soggettivi. I modi, lo stile, la postura, i riferimenti culturali, il linguaggio, le frequentazioni sono evidenti segni di distinzione e di appartenenza a un determinato gruppo sociale che possono favorire l’innamoramento. Interessanti ricerche dimostrano che le persone scelgono i loro partner in classi sociali molto vicine alla propria e che la tendenza ad avere relazioni con chi ha caratteristiche simili alle proprie, quali livello di istruzione, reddito e posizione sociale, accresce ancor di più le diseguaglianze esistenti. Non solo, questo tipo di unioni sono in aumentano rispetto al passato.
Potremmo allora rispondere alle precedenti domande con una considerazione lapidaria del sociologo Pierre Bourdieu, il quale sostiene che non ci innamoriamo di chi vogliamo, ma solo di chi possiamo permetterci di amare. Spesso siamo del tutto inconsapevoli di una tale selezione, perché convinti di aver compiuto una scelta ispirata esclusivamente dai nostri sentimenti.
Indubbiamente negli ultimi decenni fattori come la crisi del matrimonio, il crescente numero di convivenze instabili (particolarmente nei contesti metropolitani), l’emancipazione femminile, conferiscono una maggiore complessità alle dinamiche delle relazioni affettive. Accanto alle affinità di classe e di appartenenza a cerchie sociali, ne compaiono di nuove come le abitudini di consumo, i gusti alimentari, l’uso del tempo libero.
E poi c’è l’attrazione fisica e la sintonia sessuale che hanno un’incidenza notevole soprattutto nella fase iniziale di un rapporto, con differenze ancora marcate tra i generi: in tutte le culture gli uomini attribuiscono una maggiore rilevanza all’aspetto fisico del partner. Invece quel che oggi, per entrambi i generi, sembra influenzare la scelta di un partener è la condivisione dei gusti culturali insieme al livello di istruzione.
Insomma, l’amore è un’emozione di notevole complessità, che si alimenta di scelte consapevoli e altresì di condotte inconsapevoli. Non è più (ma lo è stata mai?) una condizione che può confortarci e ripararci dalle ostilità del mondo. Semmai è una dimensione nella quale vorremmo esprimere e ricevere affettività, sessualità, complicità e intimità, ma preferiremmo anche che soddisfacesse le nostre aspirazioni di ascesa sociale, di distinzione culturale e di benessere economico. Tanto per tempi incerti come i nostri, forse questa è una delle ragioni dell’amore inquieto che viviamo quotidianamente.
Bentornato,
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