Uguali risorse a tutti? Inutile se non si colmano i divari

Il dibattito sull’autonomia differenziata, sulla questione meridionale, sul divario evidente Sud-Nord, si fa di giorno in giorno più denso di avvenimenti, più profondo, più presente. Sono di questi ultimi giorni, la costituzione di una associazione meridionalista, 34 Testa al Sud che, partendo dal tema autonomia differenziata, ha l’ambizione di spaziare dalla questione meridionale, allo sviluppo civile, sociale, economico, del Mezzogiorno e dell’intero Paese; manifestazioni varie in cui si confrontano esponenti favorevoli e esponenti contrari all’autonomia; discussioni sul tema in ogni occasione di presentazione di libri e saggi sul Meridione; commenti e riflessioni sui quotidiani.

Un argomento che ha attirato l’attenzione è stata la proposta, non priva di una certa validità, del presidente della Campania, Vincenzo De Luca, di fare in modo che su materie come sanità e istruzione ci sia una totale uguaglianza di finanziamenti (e di personale, aggiungerei), impedendo futuri contratti di lavoro integrativi su questo o quel territorio, per assicurare uno stesso trattamento a tutti i territori e quindi a tutti i cittadini italiani, dovunque risiedano o vivano.

Tralasciando le intenzioni “politiche” di De Luca, che vede questa sua mossa tatticamente utile per le sue ambizioni di fare il presidente per altri cinque anni, la validità della proposta consiste nel fatto che De Luca la fa indipendentemente dall’autonomia differenziata, ma come caposaldo costituzionale irrinunciabile, quindi escluso a priori da trattative e accordi; ottenere questa uguaglianza in partenza non sarebbe male. Il problema nasce dal fatto che comunque si debba tenere in considerazione la necessità non solo, d’ora in poi, di trattare tutti i territori allo stesso modo, ma anche, se non soprattutto, di colmare i divari esistenti, cosa che manca del tutto nella proposta di De Luca. Fare parti uguali tra disuguali è una cosa ingiusta. Per una cosa del genere occorrano miliardi di euro; attualmente la strada del governo di destra sembra essere all’opposto “non un euro in più”, anzi, tagli feroci che di fatto colpiscono proprio settori che impattano con la vita quotidiana dei cittadini (sanità, istruzione, welfare, trasporti). Ci sono i Lep, che pure bisogna attuare, li cita la Costituzione: certo, ma anche qui miliardi di euro per garantire livelli uniformi (non minimi) di prestazioni nei principali servizi ai cittadini, in strutture e infrastrutture, colmando il divario Sud-Nord, ma anche quello zone metropolitane-zone interne. Se si viene a sapere che la determinazione dei costi dei Lep, secondo Commissioni e Comitati “tecnici” vari, si deve basare sulla effettiva necessità di enti, istituzioni, organismi, in base al costo della vita, in base al clima, in base alla situazione demografica… si capisce che si vuole utilizzare il valore attuale dei finanziamenti e della dotazione infrastrutturale di territori ricchi e territori poveri, stabilendo per legge che la spesa storica (chi più ha, più avrà; chi meno ha, meno avrà: è l’effetto San Matteo, secondo cui migliora chi è già migliore e peggiora chi è peggiore) sia il giusto livello di finanziamento di servizi e diritti in varie parti d’Italia.

Un altro grave vulnus presenta, però, la proposta De Luca: una volta garantita questa equità in tutta Italia per sanità e istruzione, tutto il resto può essere oggetto di trattativa e di autonomia differenziata. Non ci siamo. De Luca tiene fuori le reti di comunicazione o di trasporto dell’energia che apparentemente non hanno impatto tangibile sulla vita di tutti i giorni, ma assistenza ad anziani, asili-nido, trasporto pubblico, che… altro che se non incidono quotidianamente sulla pelle dei cittadini, del Sud e del Nord. La proposta di compromesso, pur in sé da non demonizzare, manca immediatamente l’obiettivo di essere una proposta “che toglie un po’ a tutti per dare un altro po’ a tutti”, consentendo di fatto l’oscena secessione dei ricchi e fissando per legge i divari esistenti attualmente nel Paese. Che è proprio quello che vuole il ricco Nord. Quando è invece chiaro – e su questo la stragrande maggioranza degli economisti è d’accordo – che solo un Paese senza divari si sviluppa e cresce in maniera armonica e significativa: fin quando una parte del Paese sarà una semplice colonia estrattiva a vantaggio di un’altra parte, tempo pochi anni/decenni, anche la parte che si crede “furba” affonderà.

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