Tu non puoi capire – Le diseguaglianze economiche

Le diseguaglianze economiche nel mondo del lavoro stanno galoppando più velocemente di Lautaro verso la porta avversaria. Mentre l’1% più facoltoso accumula ricchezza pari a quella del restante 99%, per la maggioranza dei comuni mortali rimangono solo spiccioli e spicciolini.

Prendiamo il nostro amato Belpaese: qui siamo diventati veri e propri specialisti nel far sudare sette camice ai pedalatori silenziosi dell’economia, riservando loro misere buste paga da 1200 euro al mese (se va bene). Nel frattempo, ai nostri beniamini del pallone concediamo lauti emolumenti milionari, quanto quelli di un Ceo d’azienda. E pensare che siamo l’unica nazione in Europa con i salari fermi agli anni ’90! Nel ranking dei paesi OCSE per livello degli stipendi annui aggiustati all’inflazione, siamo scivolati al 22esimo posto. Un arretramento che ha radici profonde nella struttura del nostro mercato del lavoro.

Innanzitutto siamo indietro, rispetto ai partner europei, sul piano dell’occupazione, soprattutto di donne e giovani. La qualità del lavoro è spesso bassa, con un ricorso massiccio a forme contrattuali atipiche e precarie. Ciò si traduce in marcate disuguaglianze retributive e in una quota elevata di lavoratori poveri (working poor), che pur lavorando faticano ad arrivare a fine mese.

A livello planetario, la situazione appare ancor più grottesca. Secondo i dati dell’OIL, organizzazione che si occupa di lavoro più di Fantacalcio, un lavoratore su cinque percepisce meno di 4 dollari giornalieri: cifre da non potersi nemmeno permettere un paio di scarpini. Eppure, qualcuno continua a intascare milioni a partita grazie solo al talento dei piedi.

C’è chi obietterà: “Sì, ma i calciatori intrattengono e fanno sognare la gente!”. Vero, ci emozionano con i loro gol e le loro prodezze. Tuttavia, ci chiediamo: davvero il loro talento vale più di medici, infermieri ed insegnanti che salvano vite e istruiscono i nostri figli? Forse è il caso di rivedere le priorità e le gerarchie salariali.

Qualcuno potrebbe suggerire: “Basta tagliare gli stipendi milionari dei top player!”. Impresa ardua, tanto che nemmeno il fisco riesce a far cassa. Meglio allora riformare radicalmente il sistema, prima che la gente scenda in piazza brandendo forconi al posto di palloni.

Servono nuove incredibili regole di ingaggio. Ad esempio, introdurre quotate obbligatorie per panchinari e seconde linee, destinando i lauti proventi delle loro cessioni alla ridistribuzione dei redditi.

Come dicevo, servono norme rivoluzionarie. Ad esempio, potremmo introdurre delle vere e proprie “quote riserve”. Ovvero, obbligare ogni squadra di calcio a schierare in campo non meno del 35% di seconde linee e panchinari.

Si tratterebbe di una vera svolta copernicana. Finora questi atleti poco valorizzati restavano caldi in panchina per 90 minuti, per poi essere ceduti al mercato estivo per due spiccioli. Con le nuove regole, diventerebbero protagonisti: subentrando a gara in corso dovrebbero strappare applausi per non incorrere in salate sanzioni.

I proventi delle loro cessioni non andrebbero più nelle casse dei presidenti. Ma verrebbero devoluti ad un apposito fondo, il “Reddito di Inclusione Calciatorizia”. Tale fondo, gestito dall’INPS, sarebbe destinato ad aumentare gli stipendi dei lavoratori meno pagati.

Ad esempio, immaginate la gioia dei commessi del supermercato nel sapere che la cessione di Barella al PSG ha permesso loro una tredicesima piena! O il sollievo dei precari finalmente assunti grazie alle plusvalenze per Jorginho al City (solo per citarne alcuni veri o meno).

Naturalmente ci sarà chi storcerà il naso, soprattutto gli allenatori. Ma in questo modo tutti, anche i più scarsi, potranno dirsi utili alla causa della giustizia retributiva. E chissà, magari qualche panchinaro del Crotone diverrà la futura stella della nazionale di equità salariale.

Solo così potremo vivere tutti, anche solo per un tempo di recupero, la magica avventura della giustizia sociale. Il Paese ne guadagnerebbe in armonia ed equilibrio tattico, cosa che nel nostro tormentato girone non guasta mai. E forse, chissà, potremmo addirittura tornare in corsa per la qualificazione ai mondiali del benessere equo e solidale.

Ovviamente, tutto ciò richiederebbe una vera e propria rivoluzione copernicana nelle logiche che regolano il business del pallone. D’altronde, si sa, i tifosi italiani sono da sempre abituati a storici ribaltoni imprevedibili.

E così, con l’introduzione delle innovative quote riserve sembra che una nuova alba stia per alzarsi nel mondo del pallone. Naturalmente non mancano le resistenze di chi profetizza il caos, convinto che così non si possano più vincere i trofei.

Fantasticare che un domani una big possa puntare tutto su un sconosciuto panchinaro acquistato per pochi spiccioli non è più pura utopia. Così come vedere una riserva di provincia trascinare la propria Nazionale alla vittoria nel Mondiale.

Nulla può dirsi impossibile, quando sono le nuove regole a riscrivere equità e meritocrazia. E se nel calcio come nella vita tutto può sempre succedere, chissà che un giorno non sia proprio grazie alle seconde linee che potrà davvero iniziare la rivoluzione.

Come sempre nello sport, quando a contare saranno solo grinta e talento: vinca il migliore, chiunque esso sia.

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