Negare il consenso è un atto devastante, un’infrazione che mina le fondamenta stesse della libertà individuale. È inquietante pensare che, in un contesto complesso come quello delle relazioni umane, si arrivi a formalizzare accordi che tentano di regolare ciò che dovrebbe essere un’intesa libera e reciproca.
La recente notizia di calciatori spagnoli che chiedono alle loro partner di firmare contratti pre-coito per proteggersi da accuse di violenza sessuale solleva interrogativi profondi e inquietanti. La questione è emersa dopo l’arresto di Rafa Mir, attaccante del Valencia, accusato da due ragazze. Miguel Galan, presidente della Scuola allenatori spagnola, ha portato alla luce un contratto che dettagliava aspetti come il tipo di pratiche sessuali consentite, ma ciò che ha fatto scalpore è stata la sesta clausola, che contempla l’idea di uno “stupro accidentale”. Una formulazione che non solo ridicolizza il concetto di consenso, ma mette in luce una comprensione distorta delle relazioni intime.
Il caso in Italia
Immaginiamo una situazione simile portata in Italia quindi tu ragazza incontri un vip (accogliamo l’accezione più ampia eh) e lui, prima di procedere anche solo alla tua conoscenza, ti fa firmare un contratto, con tanto di dettagliate domande a cui rispondere. Mi raccomando, tu lì inebriata dal fascino indiscusso del “tipo” pensi che non ci sia nulla di male ma – voglio ricordarti – che è una cavolata atomica quello che ti stanno chiedendo visto che TU puoi sempre negare il tuo consenso. Lo dice la legge e negare questo significherebbe mandare a farsi friggere tutte le norme, le lotte e le conquiste raggiunte finora.
I precedenti
Ma questa prassi non è un fenomeno isolato. Già nel 2004, dopo le accuse al cestista Kobe Bryant, alcuni atleti avevano cominciato a richiedere accordi di letto, anticipando una tendenza che si è consolidata nel tempo. In un contesto in cui una ragazza su cinque e un ragazzo su sedici subiscono abusi nei campus universitari, si cercano soluzioni superficiali, come i “kit del consenso” distribuiti nei college statunitensi. Questi kit contenevano moduli da firmare, una sorta di garanzia di consenso che, in realtà, non affronta le radici del problema. Con buona pace dei presidi e delle rettrici avendo il documento firmato come tutela. Ah, che bella l’ipocrisia!
L’analisi
Il consenso non dovrebbe mai essere ridotto a una semplice questione legale. È un dialogo continuo, una negoziazione che deve avvenire in un clima di fiducia e rispetto. La pratica di richiedere un contratto pre-coito non solo banalizza il significato di “sì”, ma crea un’illusione di sicurezza che può portare a comportamenti irresponsabili. L’idea di un contratto per tutelarsi da false accuse è, in sé, una risposta inadeguata a una questione complessa. Non si può risolvere un problema di violenza e abuso con un documento da firmare. Questo approccio non fa altro che spostare il focus dal rispetto reciproco alla paura di ritorsioni legali. È fondamentale che la società si interroghi su come educare le nuove generazioni a comprendere il consenso non come un obbligo legale, ma come un valore fondamentale nelle relazioni.
La sfiducia
Inoltre, l’effetto di tali contratti può creare un clima di sfiducia tra le persone. Se il consenso dovesse diventare una formalità burocratica, si disumanizzerebbero le relazioni intime, trasformandole in mere transazioni legali. Questo non solo mina la spontaneità e l’autenticità delle interazioni, ma perpetua anche una cultura in cui la violenza e la coercizione possono essere giustificate. La pratica di richiedere contratti pre-coito è un segnale allarmante di una società che, invece di promuovere una cultura del consenso sano e autentico, si rifugia in misure superficiali e legalistiche. Sarebbe inutile continuare a parlare di libertà e diritti, sarebbero garantiti solo ad una fetta di popolazione che, già di suo, vive nel privilegio.