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Trump cerca accordi con Putin e si prepara a contrastare il colosso cinese

Fa pensare la notizia dell’apertura del neo presidente americano alla Russia, una scelta rapida, immediata, quasi un copione già scritto che lo stesso Trump aveva in serbo da tempo. Va considerato e dato atto che sia stato l’unico ad aver avanzato una proposta di dialogo concreta in grado di porre fine all’inutile massacro che ha sconvolto la regione ucraina. Se la strategia di Trump nasconda un fine molto più ampio lo scopriremo solo con il passare delle settimane, sta di fatto che, oggi, sul tavolo della Casa Bianca ci sono numerosi temi spinosi e vanno a uno a uno affrontati. L’America non può permettersi, oggi, di aprire due grandi conflitti, uno con la Russia e l’altro con la Cina tenendo conto anche della spinosa questione mediorientale.

Aver dato man forte a Israele con l’ipotesi di ricostruire la striscia di Gaza rappresenta un tentativo di controllo dell’area mediorientale in perenne fibrillazione; d’altro canto rinforzare la propria presenza navale nel Pacifico in vista di un possibile scontro diretto con la Cina pare essere una questione più urgente, utile per stabilire la supremazia commerciale e bellica a livello mondiale. Il vero nemico dell’America non è la Russia, indebolita da un estenuante conflitto di posizione dopo tre anni di duri scontri. La Russia ha svuotato gran parte dei suoi arsenali e ha mandato al fronte centinaia di migliaia di uomini, molti dei quali non hanno fatto più ritorno in patria. Un massacro che lo stesso presidente russo, probabilmente, non aveva previsto.

La Russia può rappresentare per l’America un alleato da accontentare in vista dell’obiettivo strategico di indebolire l’asse russo-cinese. Conquistando la fiducia di Vladimir Putin, Trump in realtà ha saputo rompere il “patto d’acciaio” tra Russia e Cina, sapendosi porre come interlocutore più fedele e appetibile, vista la posta in gioco. L’Ucraina non rappresenta un problema, è così dipendente dalle volontà di Washington che non può che accettare le condizioni poste per evitare il taglio drastico degli aiuti, senza dei quali questa guerra non si sarebbe perpetuata per tre lunghissimi anni.

La regione ucraina come accadde dopo il primo conflitto bellico resterà come una conquista mutilata. Il territorio che solo parzialmente era stato conquistato dalla Russia potrebbe essere suddiviso in due zone di influenza: quella occidentale sotto il controllo americano e quello orientale sotto il controllo Russo, compresa la regione del Donbass. Un bottino importante che non rappresenterebbe una resa per la Russia, anzi una vittoria, con un protettorato molto più esteso delle aree conquistate.

Questa spartizione richiamerebbe alla memoria quella che è stata la Germania nazista dopo la Seconda Guerra Mondiale, tra aprile e luglio del ’45, quando le truppe americane e quelle russe si trovarono insieme a Berlino a dover decidere il futuro del Reich. In questo caso non ci troviamo di fronte ad un regime totalitario bensì ad una regione russofona senza alcuna ambizione espansionistica o imperialistica. Quindi, l’Ucraina dal 2014 in poi si è trovata prima ad essere travolta dalla rivoluzione arancione con la caduta del Presidente filorusso, poi ad essere occupata, in parte dalla Russia per la Crimea e le regioni ad Est ed infine, oggi, potrebbe essere divisa in due zone di ingerenza: Ucraina Ovest e Ucraina Est. In tutto questo l’Europa non ci sta. Macron ha ribadito a Trump che il 60% degli aiuti sono stati forniti dal vecchio continente e quindi vuole la sua parte, ma si profila una trattativa complessa e non scontata. Intanto il Presidente Zelensky ha dato la sua disponibilità alle dimissioni e alla cessione delle terre rare a Washington.

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