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Tre buone ragioni per dire no all’ennesimo “regalo di Natale”

Quando, alla fine di agosto scorso, Michele Emiliano rilasciò un’intervista al nostro giornale nella quale assicurava che il Trattamento di fine mandato (Tfm) non sarebbe stato ripristinato perché «non previsto nel programma presentato agli elettori», fummo percorsi da un istintivo scetticismo. Non perché dubitassimo del presidente della Puglia – che, anzi, solo qualche settimana prima aveva stoppato l’ennesimo blitz in Consiglio regionale – ma perché eravamo certi che qualche “manina anonima” avrebbe quantomeno tentato di inserire la reintroduzione del Tfm nel primo disegno di legge utile. Magari in quello più articolato, complesso e contorto, l’ideale per far passare una norma tanto impopolare. E quale occasione migliore del bilancio? Fummo buoni profeti. Andreotti, d’altra parte, aveva ragione: a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.

Ora che i fatti sembrano confermare le perplessità di agosto, bisogna riflettere sul significato politico dell’eventuale reintroduzione della buonuscita per consiglieri e assessori regionali. Soprattutto con riferimento a Emiliano che ha almeno tre buone ragioni per sbarrare la strada, ancora una volta, al ritorno del Tfm.

La prima è una banalissima ragione di coerenza. Ad agosto le parole del presidente furono inequivocabili: «Non credo sia utile ritornare sulla questione che, per decisione del Partito democratico e delle altre forze politiche, è stata definitivamente chiusa. La cosa non è stata spiegata bene, ma è bene non tornarci più su». A meno di quattro mesi di distanza da quelle dichiarazioni, sarebbe difficile spiegare agli elettori un netto e repentino cambio di rotta. E se la credibilità e la serietà di un politico si misurano anche e soprattutto dalla sua capacità di tener fede alle promesse fatte agli elettori, attraverso il programma di governo o una semplice intervista, siamo certi che il governatore non verrà meno a una dichiarazione tanto solenne come quella rilasciata a “L’Edicola”. Anche perché tenere la barra dritta significherebbe marcare una distanza da chi, a sinistra, tuona un giorno sì e l’altro pure contro il Tfm, salvo intascarlo sia per gli anni in cui era presidente di Regione sia per il periodo trascorso in Parlamento.

La seconda motivazione che spingerà Emiliano a negare a consiglieri e assessori regionali un “regalino di Natale a tre zeri” è la necessità di ribadire una leadership che, mai come in questa sessione di bilancio, qualcuno vorrebbe mettere in discussione. Basti pensare a quanti e quali ostacoli abbiano ben presto trasformato l’iter di approvazione del testo in un autentico Vietnam. C’è chi dà parere sfavorevole in segno di protesta per la nomina di Fabiano Amati ad assessore, chi per rivendicare un posto in giunta, chi per “vendicare” il commissariamento del circolo locale del partito e chi per non vedersi sottratte le “mancette” da distribuire ai fedelissimi. Insomma, atteggiamenti che sortiscono un duplice effetto: quello (volontario) di logorare la leadership del governatore e quello (involontario, almeno si spera) di danneggiare la Puglia e i pugliesi. Ecco perché bloccare la sortita per la reintroduzione del Tfm significherebbe, per Emiliano, rafforzare il proprio ruolo all’interno del centrosinistra e serrare i ranghi di una coalizione che al momento appare a dir poco sfilacciata.

L’ultima motivazione è sempre di carattere politico. Come si può pensare di assicurare una lauta buonuscita a consiglieri e assessori regionali (a spese dei contribuenti, ça va sans dire) in un momento storico in cui i salari stentano a crescere a dispetto di un’inflazione ormai al 17%, in cui al Mimit sono incardinate 150 vertenze di cui 48 relative a realtà economiche pugliesi, in cui la galoppante crisi dell’automotive mette a rischio 20mila posti di lavoro in tutta la regione? Molto meglio sciogliere questi nodi che dare l’idea di un centrosinistra incredibilmente scollegato dalla realtà. Anzi, di una politica scollegata dalla realtà. Perché, in circostanze come queste, a essere in gioco sono la credibilità di un’intera classe dirigente e il rapporto tra questa e gli elettori.

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