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Trasformismo e compromessi al ribasso minano la strada delle riforme

Facciamo il punto. Delle tre “grandi riforme dei rami alti della Costituzione” preannunciate nel discorso programmatico della presidente Giorgia Meloni alle Camere, all’atto dell’insediamento, il regionalismo differenziato è stato impallinato dalla Corte Costituzionale e stenta a riprendere il cammino dopo le sue precise censure, il premierato elettivo (partito, come la precedente, con sprint folgorante, ma al Senato) vivacchia adesso stentatamente a Montecitorio, in attesa che si capisca a quale legge elettorale si accompagnerà. Resiste e va avanti la riforma Nordio dell’ordinamento giudiziario, pur tra le polemiche dell’Associazione nazionale magistrati, alla quale non consiglieremmo tuttavia di tirare troppo la corda, perché dopo il caso Palamara il vento sembra avere cambiato direzione e gli italiani hanno perso parecchia fiducia in quelli che in precedenza giudicavano essere gli angeli custodi della virtù repubblicana dell’incorruttibilità (e non c’è da giurare che un eventuale referendum costituzionale in materia riesca favorevole alle toghe).

Intanto sono, da quando è fallita l’ultima di tre Commissioni Bicamerali, riforme portate avanti ora da questa, ora da quella maggioranza, il che non è bene: il tempo di durata che si spera abbia una Costituzione è più lungo di quello di una qualunque maggioranza di governo. Quando si è tentata la strada di riformare la Costituzione come cuore di un programma di governo (Berlusconi, Letta, Renzi), tale proposito è fallito.

Ma perché – mi chiede un amico – da noi è così difficile mettere mano alla Costituzione? Bella domanda, ma impressione non del tutto fondata: di recente si è perfino ottenuto a larga maggioranza di ritoccarne i principi fondamentali, introducendovi la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema, delle generazioni future, nonché l’attenzione ai “diritti degli animali” non umani (lo scrivo perché tali siamo anche noi stessi, se qualcuno l’avesse dimenticato) e l’ambiente è adesso un limite ulteriore all’iniziativa economica, come pure è stata introdotta con successo la protezione e valorizzazione dello sport, a motivo della sua importanza per la salute e la socialità.

Finché si resta nelle formulazioni generalissime e vaghe, un accordo tra le forze politiche si trova. Un grande maestro del nostro diritto costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, ha perfino enunciato il celebre paradosso per il quale le riforme davvero necessarie della Costituzione sono quelle che non si riescono a condurre in porto, sicché – se su alcune invece ci si riesce – questo è il segno sicuro che non erano davvero indispensabili. Da ultimo dovette constatarlo anche quel galantuomo di Giorgio Napolitano (ricordato al Senato nel centenario della nascita il 30 giugno e il primo luglio), rimproverando per questo aspramente – nel discorso di rielezione alla carica presidenziale – proprio quelli che, con effetto surreale, lo applaudivano.

Ma perché ciò accade? Sono state scritte in argomento biblioteche intere e inoltre bisogna sempre diffidare delle spiegazioni monocausali e troppo semplificatrici di fenomeni complessi, ma provo a segnalare qui una delle ragioni secondo me più forti, che viene da lontano. Per come si è formata la storia d’Italia, fin da Cavour sinistra e destra non sono mai state due sensibilità politiche contenibili ciascuna in un partito solo, ma si sono frammentate in rivoli e in ognuno dei due campi posizioni più moderate e orientate al fare e all’intesa hanno dovuto convivere con altre, più estreme e identitarie. Questo ci ha regalato nel tempo “trasformismo”, governi di coalizione, sistemi elettorali proporzionali, infine appunto la difficoltà di riformare la Costituzione, obiettivo che richiede – lo si è notato sopra – propensione all’accordo sulle basi del sistema con persone che nella quotidianità del processo di governo restano lontane. Appena però le parti moderate degli opposti schieramenti ci provano, ecco che le frazioni identitarie, a guardia (si direbbe) del barile, danno l’altolà, con grandi accuse di avere venduto l’anima al “nemico”. E il gioco riformatore è risospinto in mare aperto.

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