Il drammatico episodio di Senigallia, dove un ragazzo di 15 anni si è suicidato, forse vessato dal bullismo dei compagni di scuola o forse per il voto insufficiente preso il giorno prima, ci pone di fronte a una riflessione più ampia, ovvero la ricerca di senso nella società che abbiamo costruito.
Oltre 150 anni fa Friedrich Nietzsche, attraverso il famoso aforisma “Dio è morto”, ci consegnava al nulla, alla mancanza di scopo e di perché, vedendo un futuro strutturato sul nichilismo. Se nel Medioevo tutto era permeato da un senso di latente religiosità – dall’architettura sacra (chiese, cattedrali) alla letteratura (la Divina Commedia) – oggi tutto questo si è smarrito.
Guardandoci intorno, ci troviamo immersi in un vuoto esistenziale strutturato sulla tecnologia, sul virtuale e sulla logica del consumo dove ogni individuo è solo con se stesso. Etimologicamente la parola “individuo” deriva dal greco “atomos”, cioè “indiviso”, e ci comunica un senso di finitezza, qualcosa di delimitato entro i propri confini, autarchico ed autosufficiente.
L’individuo è il centro di un mondo che gravita intorno a lui e per lui, è il protagonista di una realtà individuale che si svolge sul display di un device e che sostituisce le parole con le emoticon. Il ritorno dei geroglifici! E se invece tornassimo all’antico, se tornassimo agli insegnamenti che ci hanno lasciato i greci? Per loro la persona era “prosopos”, da “pros”, cioè “avanti”, e “opsis”, cioè “sguardo”.
Sono una persona, quindi, se un altro mi guarda, e guardandomi, mi vede. Sono una persona se sono in una relazione, se faccio parte di una comunità.