Sulle tracce della nostra Via Maestra

La Via Maestra è il titolo scelto dai promotori della manifestazione nazionale che ha attraversato Roma. La via maestra è uno spazio pubblico, la strada principale, quella che si percorre per non perdere la direzione. Per la Cgil e le sigle che l’hanno promossa (Anpi, ARCI, Libera, Legambiente, Wwf, Medicina Democratica, Fondazione Gimbe, Link, Uds, Udu) la via maestra per il nostro Paese è la Costituzione.

Siamo in piazza per difenderla da attacchi che rischiano di minare equilibri istituzionali e di potere, per applicarla e rendere esigibili i diritti fondamentali scritti nella Carta, nata dalla lotta partigiana, dalla Resistenza contro la tirannia e la ferocia nazifascista.

Applicare la Costituzione significa dare senso compiuto alla parola democrazia. Che non significa solo libero esercizio dei propri diritti politici, per quanto la disaffezione verso la partecipazione alla scelta dei rappresentanti segnali un vulnus pericoloso anche in questo senso.

La democrazia è tale se vi è piena esigibilità anche dei propri diritti civili, quelli riconosciuti dal nostro ordinamento giuridico come fondamentali, inviolabili, irrinunciabili, tali da assicurare a ogni individuo la possibilità di realizzare pienamente se stesso. Quelli scritti nella prima parte della Costituzione: la Repubblica fondata sul lavoro, il diritto alla salute, il diritto all’istruzione, il diritto alla giusta retribuzione in grado di garantire una vita dignitosa.

Quella Carta in cui tra i diritti e i doveri si prevede la libertà di iniziativa privata non in contrasto con l’utilità sociale o che rechi danno all’ambiente, alla salute, alla sicurezza. Se guardiamo al nostro Paese, almeno alla storia degli ultimi trent’anni, non possiamo non avere consapevolezza che le politiche economiche e sociali hanno prodotto e aumentato ingiustizie e disuguaglianze. Un Paese che condanna alla povertà salariale e al precariato, dove tante troppe persone rinunciano alle cure perché onerose o per i lunghi tempi di attesa, in cui il profitto ha più valore della vita e della salute delle persone con oltre mille morti sul lavoro ogni anno, dove si arretra rispetto alle tutele, dove il diritto allo studio è sempre più un privilegio, in cui in barba alle previsioni costituzionali non vi è piena progressività fiscale, riesce difficile parlare di democrazia applicata, di rispetto della Carta. Lamentiamo da tempo come la politica sia distante dai bisogni reali delle persone, che hanno smesso di credere nella possibilità che la politica possa agire per migliorare la condizione materiale di chi sta peggio.

Se rivolgiamo lo sguardo poi al Mezzogiorno, i divari rispetto a redditi e qualità e quantità dei servizi pubblici, di dotazioni infrastrutturali materiali e immateriali, di possibilità occupazionali, il giudizio diventa inappellabile, una “questione meridionale” che attraversa da cento anni la storia del Paese e mai risolta. È evidente che in ballo c’è il modello sociale e di sviluppo che ha indirizzato le scelte di tutti i Governi che si sono succeduti. In discussione è l’idea che il mercato senza regole risponda da solo alle istanze di progresso e benessere collettivo, in discussione è il modello neoliberista per dirla in maniera chiara.

In trent’anni in Italia e nel mondo sono cresciute le disuguaglianze, si è acuita la forbice tra chi ha di più e chi ha di meno, tra Nord e Sud del mondo, non più coordinate geografiche assolute ma che ritroviamo dentro le regioni tra aree interne e città, dentro le stesse aree metropolitano tra centri e periferie. E con il tipico approccio del darwinismo economico, invece di togliere le barriere che impediscono l’emancipazione di ogni individuo, si è scaricato sui singoli la colpa del fallimento: se non hai un lavoro, se non puoi permetterti di studiare, di curarti, di mettere assieme pranzo e cena.

Siamo in piazza , in cinquemila dalla Puglia, per dire a chi è al Governo oggi, le destre sovraniste e neoliberiste, quelle che fanno cassa sui poveri tagliando pensioni e reddito di cittadinanza, fondi per la salute o per gli affitti, che si oppongono al salario minimo, che precarizzano oltre modo il lavoro, che cavalcano i migranti per costruire paura e divisioni e distrarre dal disastro al quale stanno conducendo il Paese, che noi non ci stiamo.

Non ci stiamo alla secessione delle regioni ricche, a veder crollare una conquista di civiltà e democrazia come la sanità pubblica e universale, che se il futuro è veder emigrare i giovani, specie quelli più formati – 77mila laureati via dalla Puglia negli ultimi dieci anni -, dove si tagliano le tasse ai ricchi e si premiamo i furbi e gli evasori mentre si evadono tra i 90 e 100 miliardi di euro ogni anno, la Cgil e il vasto mondo associazionistico che ogni giorno è a contatto con chi vive marginalità sociale e povertà, noi ci opponiamo e protestiamo. Basta propaganda, basta politiche di piccoli bonus, mentre si regalano soldi per opere faraoniche e inutili prevedendo anche norme che favoriscono infiltrazioni criminali e nessun rispetto del lavoro e delle persone. Basta con xenofobia e discriminazioni di genere o orientamento sessuale. Buona occupazione, salari degni, unità del Paese, istruzione e sanità per tutti, sviluppo sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. Chiediamo troppo? No, chiediamo di applicare la Costituzione. Di imboccare la strada del benessere delle persone sopra gli interessi economici e speculativi. Intanto, di far pagare a chi ha di più, a chi grazie a pandemia, inflazione e boom dei costi energetici si è arricchito. E se non saremo ascoltati, su queste strade ci ritroveranno. Sulla via maestra.

Gigia Bucci – Segretaria CGIL Puglia

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