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Sulla valutazione delle politiche Einaudi aveva ragione

Nel 1955, Luigi Einaudi scrisse nella raccolta “Prediche inutili”: «Giova deliberare solo conoscendo». Questo principio è oggi più che mai attuale, soprattutto quando parliamo di politiche pubbliche. Troppo spesso, infatti, le decisioni politiche vengono prese senza una reale consapevolezza delle loro conseguenze, specialmente quelle a lungo termine, che coinvolgono generazioni diverse. Valutare gli impatti delle politiche pubbliche significa capire, con rigore scientifico, quali effetti queste scelte avranno su società, economia e ambiente. L’obiettivo è garantire che le decisioni siano: efficaci nel risolvere i problemi, sostenibili nel tempo, capaci di migliorare il benessere collettivo in modo equo e duraturo. La valutazione degli impatti generazionali guarda al futuro: verifica che le politiche di oggi non compromettano le opportunità e il benessere di chi verrà dopo di noi. È un principio di responsabilità intergenerazionale che esprime una visione lungimirante e sostenibile dello sviluppo.

Ma perché sbagliamo spesso nelle decisioni? Secondo Einaudi, le decisioni affrettate e basate su informazioni incomplete producono inefficienze e costi elevati per la società. Decisioni superficiali richiedono continue correzioni che nel tempo diventano complesse e onerose. Una valutazione preventiva degli impatti generazionali aiuta a evitare questi errori. Ma la responsabilità della valutazione non può essere affidata esclusivamente alle istituzioni pubbliche. Entra in gioco il principio di sussidiarietà, secondo il quale associazioni, università, centri di ricerca e organizzazioni del terzo settore hanno un ruolo essenziale. Questi soggetti possono contribuire offrendo competenze specialistiche, risorse aggiuntive, capacità di analisi indipendenti e imparziali. Questa collaborazione rende le valutazioni più accurate, trasparenti e condivise, favorendo un approccio orientato al benessere equo e sostenibile (Bes), un concetto promosso da Istat e Cnel per monitorare il progresso non solo economico, ma anche sociale e ambientale.

Il fatto di prendere decisioni in assenza di informazioni complete e affidabili non dipende solo dalla classe politica o dalle istituzioni, ma anche da una generale incapacità di trasformare le informazioni disponibili in vera conoscenza. Numerosi studi dimostrano che la mente tende a ricorrere a “scorciatoie”. Queste strategie intuitive e veloci portano frequentemente fuori strada. Inoltre, si è naturalmente inclini a sovrastimare eventi familiari e a cercare solo informazioni che confermano certe idee, ignorando quelle contrarie. Questa situazione peggiora nella cosiddetta “società dell’informazione”, dove siamo letteralmente sommersi da dati spesso non verificati o addirittura manipolati. Questo sovraccarico informativo ci porta a una condizione di “disattenzione razionale”, in cui ignoriamo informazioni importanti fino a quando non ci troviamo in una crisi conclamata.

In un contesto così caotico, i dati statistici ufficiali diventano strumenti essenziali per restituire ordine e affidabilità al processo decisionale. Decidere basandosi su dati certi e verificati non è più una semplice possibilità, ma una vera e propria necessità. Le recenti crisi economiche, sociali e ambientali dimostrano che viviamo in un mondo vulnerabile e dominato dall’incertezza. Affrontare queste sfide richiede modelli scientifici rigorosi, capaci di aiutarci a gestire il rischio anziché subirlo passivamente. Se il futuro della nostra società dipende dalle decisioni che prendiamo oggi, usare informazioni affidabili deve diventare un imperativo comune a politici, cittadini e imprese. La posta in gioco non è solo tecnica, ma riguarda benessere, libertà individuale e democrazia. Come ricordava Einaudi, “conoscere per deliberare” non è soltanto un principio teorico, ma un dovere collettivo dal quale dipende la possibilità di costruire un futuro migliore per tutti.

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