Contrordine, indietro tutta. L’onorevole Giovanni Donzelli (che si presuma senta al cellulare la presidente del Consiglio – quando non la incontra personalmente – la mattina all’ora del caffè, subito prima dei pasti o immediatamente dopo e per il saluto della buona notte, insomma del quale è difficile pensare che dichiari qualcosa che lei non sappia già quando lui la esterna e non l’abbia concordata con la stessa) fa sapere che per il terzo mandato dei presidenti di Regione non c’è problema, purché questi enti lo richiedano tutti insieme e in modo omogeneo, perché la soluzione non può essere “a macchia di leopardo”.
Forse ci siamo confusi. Questo deputato fa parte della maggioranza che sorregge il Governo che qualche mese fa ha impugnato alla Corte Costituzionale la legge della Campania che aveva reso possibile la ricandidatura del suo presidente, benché egli avesse già gestito un primo mandato e stia terminando il secondo. La Consulta ha poi confermato (con sentenza 64/2025) che tra i principi fondamentali della legge elettorale-quadro (di competenza statale) per gli organi degli enti territoriali, tenuti dunque a rispettarli pur dovendone completarne la disciplina, c’è proprio il divieto di terza candidatura consecutiva al vertice dell’Esecutivo. La Campania aveva la sua parte di ragione nel fare notare che in precedenza i vari governi non si erano opposti alle analoghe leggi elettorali di Lombardia, Emilia-Romagna, Marche, Veneto e Piemonte, che avevano fatto decorrere il divieto di un ulteriore (e terzo) mandato dalla data di approvazione delle stesse, salvando quindi quelli già svolti dai cosiddetti governatori, ma ora l’impugnazione c’era stata e la Consulta si è espressa.
L’esigenza viene da lontano. Sono stati innanzitutto gli statunitensi, dopo la terza rielezione del presidente Franklin Delano Roosevelt, a stoppare un’ulteriore aspirazione di chi la coltivasse (quanto a lui, scomparve in carica subito dopo l’incontro di Yalta con Churchill e Stalin). Oggi i mandati presidenziali che possono lì essere completati sono due in tutto. Non ci potrebbe essere, insomma, un terzo Trump (anche se abbiamo letto che lui l’inghippo lo cerca) e respiriamo di sollievo. Diverso il caso dei nostri presidenti di Regione e sindaci dei Comuni oltre i 15mila abitanti e nella Russia di Putin: basta che i tre mandati non siano consecutivi e poi le aspirazioni – osservato un intervallo – potrebbero trovare soddisfazione finché il popolo lo vuole e la salute sorregge l’eterno (ri)candidato. Si sostiene che non si addice la troppo lunga permanenza in carica a chi (eletto direttamente) eserciti il potere esecutivo, mentre può chiudersi un occhio sulla ripetizione eventuale dei mandati parlamentari, anche se – messi in salvo i leader – gli statuti e la prassi dei partiti prevedono in genere un turn over tra aspiranti al giro di valzer del seggio in una Camera, che sono sempre più dei posti disponibili. Il sospetto, però, qui è tutto politico: in difficoltà sulle candidature del centrodestra e volendo dare una soddisfazione a Salvini (che sosterrebbe ancora Zaia in Veneto e Fedriga in Friuli anche per non avere fastidi alla propria leadership) e volendo infastidire il campo largo campano, perché figuriamoci se De Luca si farebbe sfuggire l’occasione di riproporsi, che sembrava persa, Meloni prova a sparigliare, a costo di contraddirsi. Quanto alla Puglia non sembra esserci problema: per un Decaro che intanto si scalda in Europa, Emiliano non ha intenzione di ricandidarsi.
Finita ingloriosamente l’età di tre inconcludenti Commissioni bicamerali per riformare tutti assieme Costituzione e leggi elettorali, ogni maggioranza prova a confondere il tempo e il respiro più corto dell’indirizzo politico contingente con quello di assetti costituzionali destinati a durare ben più a lungo, mentre, proprio perché la casa è comune, sui muri maestri devono dire tutti la loro, non solo chi governa al momento.
Bentornato,
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