Nel maggio scorso, al Forum “Verso Sud”, il Ministro per il Sud e la Coesione Territoriale, Mara Carfagna, ha celebrato la fine del meridionalismo piagnone, disfattista e rivendicativo, proponendo la sua visione, pragmatica e ottimista, di un Mezzogiorno considerato come una grande frontiera di opportunità. L’idea centrale è stata espressa dallo stesso ministro con poche efficaci parole: “il Sud Italia è una realtà molto più attiva di quel che si crede: se esistesse una Repubblica dell’Italia meridionale sarebbe probabilmente l’ottavo Paese manifatturiero d’Europa”, perché il Sud ospita le tre più grandi fabbriche italiane per addetti (Taranto, Melfi e Val di Sangro), le principali raffinerie, un intenso traffico portuale, promettenti insediamenti farmaceutici, della componentistica, del tessile, del cemento, del fotovoltaico e dell’eolico. Non la pensano allo stesso modo i 323 sindaci e amministratori comunali, con Napoli, Palermo, Catanzaro, Pescara in testa, che un anno fa si sono riuniti nella rete ‘Recovery Sud’, dubitando che il Mezzogiorno sia davvero questa grande terra di speranze e opportunità. Il vecchio meridionalismo piagnone e rivendicativo, che Carfagna, a forza di patinati e colorati rapporti, redatti dal prestigioso studio meneghino di consulenza aziendale Ambrosetti, ha scacciato dalla porta della sua agenda politica, è rientrato così dalla finestra.
E lo ha fatto rivendicando il rispetto della ripartizione dei fondi del Pnrr, temendo che possano fare la stessa fine dei fondi del Piano Marshall prevalentemente usati nel dopoguerra per rafforzare l’apparato produttivo del Nord. Nel clima di incertezza aperto dalla crisi del governo Draghi, la rete dei sindaci è tornata a farsi sentire proponendo ai partiti in lizza elettorale, un fitto decalogo di politiche considerate necessarie per non aggravare il divario con il Nord. Al primo posto nelle rivendicazioni la necessità di colmare con nuove assunzioni la carenza di personale, soprattutto qualificato, che da anni penalizza le amministrazioni locali meridionali con l’effetto di ridurre la capacità progettuale e di spesa dei fondi europei. Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto con un piano straordinario di assunzioni nei Comuni meridionali in deficit in deroga ai tetti di spesa e finanziato parzialmente mediante una razionalizzazione del reddito di cittadinanza in direzione di prestazioni lavorative obbligatorie. L’assunzione di personale qualificato dovrebbe avvenire tramite Borse di Studio Mediterranee per agevolare il rientro dei cervelli in fuga e attirare giovani residenti in Paesi mediterranei con elevati parametri curriculari. Si propone inoltre un piano di investimenti per il rilancio delle aree produttive attraverso il finanziamento di infrastrutture (strade, fogne, rete elettrica, banda ultralarga, ecc) nei Comuni meridionali più svantaggiati, attivando il fondo da 4,6 miliardi per la perequazione infrastrutturale e blindando anche la territorializzazione delle risorse del Pnrr con un meccanismo di bandi basato sugli effettivi bisogni territoriali e con riparti territoriali predefiniti. Sempre in direzione della perequazione territoriale i Comuni aderenti a Recovery Sud chiedono che i Livelli Essenziali di Prestazione (LEP), in particolare sui servizi di istruzione a livello comunale, non siano più ancorati alla spesa storica, un metodo di calcolo che penalizza fortemente il Sud, in quanto l’attribuzione delle risorse avviene sulla base di quanto già speso dallo stesso ente in passato per lo stesso servizio: così chi già ha erogato servizi riceve di più e chi non li ha mai erogati non riceve nulla. Questo punto è strettamente legato al rifiuto della Autonomia Differenziata, considerata ormai “anacronistica, in quanto concepita prima della pandemia, che ha fatto emergere tutti i limiti della sanità regionalizzata”. All’autonomia differenziata, che rischia di aggravare le disparità territoriali, i sindaci meridionali contrappongono la premialità per i comuni più virtuosi e l’incentivo a forme di cooperazione tra Comuni del Nord e del Sud. Infine gli ultimi punti del decalogo riguardano la valorizzazione delle aree intere e del patrimonio culturale potenziando il sistema di incentivi. Sono queste rivendicazioni legittime rivolte a tutti i partiti, ma che delimitano di fatto lo spazio politico di un “partito del Sud”. Chi ha creduto ottimisticamente di “abolire il Mezzogiorno” si ritrova oggi di fronte ad una questione meridionale aperta in un quadro politico incerto e in una fase congiunturale difficile.
Rosario Patalano è professore di storia del pensiero economico all’università Federico II di Napoli