Questo intervento è stato scritto con collaborazione con Claudia Corsaro, Monica Galli, Sara Lauriola e Sofia Monzani, avvocate.
Lo scorso 22 novembre il Senato ha approvato il disegno di legge “Roccella”, recante disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica. L’obiettivo del legislatore è rafforzare gli strumenti di contrasto della violenza di genere, ampliando le misure di “prevenzione secondaria” tese alla protezione delle donne vittime di violenza già denunciata.
Tra le misure proposte, a corollario di quelle già previste nel Codice Rosso, che pure aveva disciplinato gli strumenti di tutela apprestati in favore delle donne vittime di violenza di genere, vi sarebbero l’ampliamento della distanza da tenere dai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima (non inferiore a 500 metri) e l’apposizione all’offender del braccialetto elettronico (misura che rischia di rimanere applicabile solo sulla carta, dal momento che di tale presidio si è già ampiamente discusso in sede carceraria, attesa la sua indisponibilità a fronte della mole di richieste pervenute per il suo utilizzo in sede di detenzione domiciliare).
Siamo davvero sicuri che la tipologia di intervento sia risolutiva? Non sarebbe forse opportuno prevedere il rafforzamento delle misure di prevenzione del fenomeno sociale e non solo del reato? L’auspicio è che la scelta del legislatore, che valorizza la funzione educativa del diritto penale, notoriamente seconda a quella punitiva, sia presto accompagnata da concreti interventi di capillare sensibilizzazione sociale, ove venga dato spazio, rilievo e risonanza ai fenomeni di fragilità emotiva.
L’awareness sui campanelli di allarme che conducono alla violenza di genere dovrebbe trascendere i contesti familiari ed essere inserita nei programmi scolastici, con percorsi di sensibilizzazione ed educazione all’affettività e di assistenza nella gestione delle emozioni, indispensabile per evadere da esperienze affettive declinate in termini di possessività e controllo, sfumature che costituiscono il nocciolo duro al centro di qualsiasi episodio di violenza di genere.
Si potrebbe ipotizzare, prendendo l’esempio dalla recente riforma dello Sport, e ancor prima dalla riforma del cosiddetto “whistleblowing”, di inserire anche in ambiente scolastico/universitario, lavorativo e sociale, la figura del responsabile delle politiche di safeguarding che sia adeguatamente formato e pronto a gestire le segnalazioni di abusi, violenze e discriminazioni.
Solo così la pena, costituzionalmente intesa, tornerà a essere l’extrema ratio cui ricorrere solo quando gli altri rami dell’ordinamento non siano stati in grado di tutelare adeguatamente il bene giuridico tutelato.