Se c’è una cosa che fa male alle imprese, è la confusione. E, paradossalmente, la confusione è proprio l’elemento che sta caratterizzando le attuali politiche di sviluppo: un marasma di contraddizioni e incertezze che rischia di far male a tutto il Paese e di ostacolare la riduzione del divario tra Nord e Sud.
Dopo sette anni di attesa, il governo Meloni ha disciplinato le Zone logistiche speciali (Zls), introdotte nel 2017 per sostenere la crescita delle aree meno sviluppate del Nord. All’epoca, il legislatore assicurò alle Zls soltanto meccanismi di semplificazioni e non i benefici fiscali che invece erano previsti per le Zone economiche speciali (Zes) istituite nelle regioni del Sud. Poi, nel 2020, la possibilità di beneficiare del credito d’imposta fu estesa anche alle aziende disposte a investire nelle Zls: una chance recentemente confermata dal Dpcm 40 del 2024. Per le Zls è stato previsto un modello di governance in relazione al quale Assonomine ha parlato di “bottom up”: le Zone logistiche speciali restano fortemente legate al territorio regionale o interregionale. Ciò segna un distacco piuttosto netto dal modello “top down” centralizzato introdotto dal governo Meloni per la Zes unica meridionale, in cui sono comprese tutte le Zes del Sud.
Quanto ciò sia frutto di una scelta ponderata e non l’esito di rinvii a precedenti “impostazioni” normative, non è ben chiaro. Certo è che siamo in presenza di una duplice contraddizione: il governo che attraverso l’autonomia differenziata intende attribuire maggiori competenze alle regioni, nello stesso tempo prevede una governance centralizzata per la Zes unica del Sud e, nello stesso tempo, struttura le Zls sul “vecchio” modello delle Zes meridionali.
A questa confusione si aggiungono le incertezze. Partiamo dalle Zls. La finestra temporale di sei mesi, cioè dall’8 maggio al 15 novembre 2024, e le risorse indefinite, in quanto indicate in via cumulativa con altri fondi, sono una garanzia sufficiente perché le imprese beneficino del credito d’imposta e alimentino gli investimenti? E le proposte di piano strategico esistenti saranno confermate o dovranno essere riformulate alla luce del Dpcm 40 e del decreto Coesione? Interrogativi finora inevasi.
Quanto alla Zes unica meridionale, le incertezze sono ancora maggiori. Nelle scorse settimane è stato deciso che la Struttura di missione che dovrebbe coordinare le politiche di sviluppo al Sud gestirà soltanto le pratiche relative agli investimenti nelle zone industriali, mentre sarà compito dei Comuni rispondere alle altre istanze di autorizzazione unica.
Peccato, però, che la legge 162 del 2023 preveda che sia la Zes unica a processare le domande in qualsiasi territorio del Sud e per qualsiasi attività produttiva. E che le autorizzazioni uniche rilasciate dai Comuni dovrebbero seguire i tempi biblici della pubblica amministrazione, perché non gestite secondo la procedura semplificata. E poi c’è il rebus del credito d’imposta: la dotazione di 1,8 miliardi non sembra sufficiente a soddisfare le domande delle imprese che, di conseguenza, potrebbero scegliere di investire in altre aree o addirittura di non investire affatto. Quello che si chiede al governo Meloni sono scelte chiare.
La confusione che si sta generando su Zls e Zes unica rischia di “raffreddare” migliaia di imprese entusiaste all’idea di investire beneficiando di semplificazioni e credito d’imposta. E, soprattutto, il pericolo è che gran parte di esse “fugga” dal Sud, consegnando quest’area del Paese a un futuro di sottosviluppo.