È trascorsa una settimana da quando Beppe Sala ha illustrato la sua “ricetta” per accelerare la spesa dei fondi europei ed evitare che le scadenze del Pnrr non siano rispettate. «Se ci sono dei residui, dateli a Milano», ha furbescamente suggerito il sindaco del capoluogo lombardo. Nel corso di questa settimana, sul tema sono intervenuti molti politici e amministratori pubblici di primo piano. I presidenti di Liguria, Veneto e Provincia autonoma di Trento e di Bolzano hanno immancabilmente alimentato il refrain per il quale le risorse vanno assegnate «a chi è capace di spenderle» (Luca Zaia dixit). Sul fronte opposto, sono stati soprattutto il governatore calabrese Roberto Occhiuto e il sindaco beneventano Clemente Mastella a dire altolà alla proposta di Sala.
Sul tema si sono espressi più o meno tutti tranne Antonio Decaro, l’unico che, per ragioni istituzionali prima ancora che di opportunità, si sarebbe dovuto opporre all’ipotesi di uno “scippo” ai danni del Sud. Il sindaco di Bari e presidente dell’Anci non ha ritenuto di prendere posizione su un tema cruciale come la difesa dei miliardi assegnati al Sud nell’ambito del Pnrr. Una scelta dettata dalla volontà di non soffiare sul fuoco delle polemiche? Probabile. Ma una simile motivazione non è sufficiente. E non lo è almeno per tre ragioni. La prima è squisitamente politica: le esternazioni dei vari Sala, Toti, Zaia e Fugatti dimostrano, qualora ce ne fosse bisogno, l’esistenza di un fronte trasversale e compatto di pubblici amministratori settentrionali pronti a mettere le mani anche sulla cosiddetta “quota Mezzogiorno”, cioè su quel 40% di risorse del Pnrr e del Piano nazionale complementare che il decreto 77 del 2021 ha riservato al Sud. Se questo fronte sempre più ampio dovesse trovare una sponda in Palazzo Chigi – ipotesi non peregrina in una fase che vede al governo una forza di tradizione secessionista come la Lega e in cui l’iter di attuazione dell’autonomia differenziata è ormai incardinato – il Sud verrebbe ancora una volta derubato. O, meglio, defraudato, se si pensa che l’Europa ha assegnato all’Italia 191 miliardi di euro proprio per ridurre il divario tra i suoi territori. Davanti a tutto ciò, Decaro non ha proferito parola.
In più, i monitoraggi condotti dal Dipartimento per le politiche di coesione hanno evidenziato come diversi enti pubblici violino la “quota Sud”. Un dossier della fondazione Openpolis ha dimostrato, per esempio, come il Dipartimento della Protezione civile, il Ministero del Turismo e quello dello Sviluppo economico abbiano spesso e volentieri ignorato la riserva del 40% dei fondi al Mezzogiorno. E questo non solo per ragioni tecniche, ma anche per la mancanza di validi e univoci vincoli di destinazione che non lascino il rispetto della “quota Sud” all’arbitrio di certe organizzazioni. Decaro non solo non si è pronunciato in merito, ma ha anche perso l’occasione per chiedere l’introduzione di una clausola di salvaguardia dei fondi destinati al Sud, tra l’altro in un momento in cui il governo Meloni punta a rivisitare il Pnrr. Ma non era stato proprio il sindaco di Bari, durante una manifestazione a Napoli, a evidenziare il ruolo dei Comuni nella lotta alle disuguaglianze? Non era stato lo stesso presidente dell’Anci a sottolineare l’impegno dei sindaci nel «togliere ai ricchi per dare ai poveri»? Proprio così. Eppure, ora che tanti “sceriffi di Nottingham” vogliono togliere ai “banditi di Sherwood” anche le briciole, il Robin Hood di Torre a mare si volta dall’altra parte e lo fa per un mero calcolo politico (sbagliato). Così, però, non può funzionare. Perché per amministrare una grande città come Bari e guidare tutti i sindaci del Paese servono struttura e visione politica. E un coraggio che, almeno in questo caso, Decaro ha dimostrato di non avere.
Bentornato,
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