“Favorire il pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali”: non manca certo l’ambizione all’articolo 2 del disegno di legge delega, recentemente approvato dal governo Meloni su proposta del ministro Roberto Calderoli, per la determinazione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) in numerosi ambiti di intervento pubblico. Eppure lo strumento scelto non sembra il più adatto o, meglio, sembra idoneo soltanto a rimediare, forse anche in maniera maldestra, alle censure mosse dalla Corte Costituzionale ad alcune parti della legge Calderoli sull’autonomia differenziata.
Partiamo dalla norma. Il ddl assegna al governo Meloni nove mesi per emanare uno o più decreti legislativi con cui determinare i Lep per ciascuna delle funzioni pubbliche relative ai diritti civili e sociali. L’ambito è molto vasto e comprende funzioni oggi esercitate dallo Stato in tutte le materie che la legge sull’autonomia differenziata classifica come “materie Lep”: istruzione, tutela dell’ambiente, beni culturali, tutela e sicurezza del lavoro, ricerca scientifica e tecnologica, alimentazione, ordinamento sportivo, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, comunicazioni, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. “Grande esclusa” è la materia della tutela della salute. L’obiettivo, oltre quello della riduzione dei divari, è la “completa attuazione” dell’autonomia differenziata prevista dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione.Ma lo strumento scelto dal governo Meloni è adeguato al conseguimento dei due obiettivi indicati dal ddl? Probabilmente no, come Ivo Rossi e Alberto Zanardi hanno opportunamente chiarito. Si pensi al primo obiettivo, quello della riduzione dei divari tra le diverse aree del Paese. In nove mesi, infatti, è praticamente impossibile riuscire a valutare l’appropriatezza dei Lep oggi previsti esplicitamente o implicitamente dalla normativa vigente in una molteplicità di materie ed eventualmente rivederli, modificarli o persino introdurne di nuovi? Se si riflette sul secondo obiettivo, cioè la piena attuazione dell’autonomia differenziata, il ddl appena licenziato è finalizzato alla determinazione in via preventiva dei Lep in tutte le funzioni pubbliche statali. Più saggio sarebbe stato procedere considerando le specifiche richieste di attribuzione di funzioni presentate dalle singole Regioni e verificare se su queste la normativa vigente fissi Lep rilevanti.
Non mancano altre criticità. Nella sua sentenza la Corte Costituzionale ha evidenziato la mancanza, nella legge Calderoli, di criteri sufficientemente dettagliati per consentire al Governo di emanare decreti nell’ambito dell’attuazione dell’autonomia differenziata. Il ddl appena approvato, però, non sembra in grado di superare questo limite: materie come istruzione e tutela del lavoro sembrano essere state oggetto di un notevole approfondimento, come testimonia l’indicazione dei numerosi atti normativi che le regolano; invece per il governo del territorio, solo per citare un esempio, ci si limita a formulare indicazioni generiche peraltro già inserite nel Testo unico dell’edilizia.
In definitiva, il ddl appena approvato dal governo Meloni sembra funzionale al conseguimento di un solo obiettivo: impegnare il Parlamento in un lavoro che, nella migliore delle ipotesi, porterà a una semplice ricognizione dei Lep o, tutt’al più, a ribattezzare le funzioni già esercitate con l’etichetta Lep. Con buona pace di chi si attende una concreta riduzione dei divari tra Nord e Sud del Paese e un’attuazione del regionalismo coerente con i principi di unità e indivisibilità della Repubblica.
Bentornato,
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