Nel titolo la prima regola del buon giornalismo che, proprio per questo, non deve necessariamente essere un giornalismo buono, accondiscendente e piegato a logiche di potere politico, economico e finanziario. In tempi di guerra come questi, dove la propaganda corrompe le notizie, è davvero importante ricordare che l’etica della nostra professione dev’essere protetta e salvaguardata. Ogni giornalista che si rispetti, dal più giovane apprendista di provincia pagato “a pezzo”, fino alla anchor woman televisiva o al direttore del quotidiano a maggiore tiratura, deve assolutamente rispettare regole e dettami affinché non venga mai meno il rapporto fiduciario con i lettori, la collaborazione con i colleghi e la cooperazione con gli editori. Su quest’ultimo punto vale la pena soffermarsi. Come dianzi detto, ci sono delle fonti che fanno capo direttamente al potere politico, come la Tass, l’agenzia giornalistica russa. Sono 118 anni che “serve il piatto caldo” ai vari autarchi che si sono avvicendati sulla poltrona più importante di Madre Russia. Ormai si sa che è così. Peggio ancora, però, è quando a “dettare” le parole degli articoli sono piccoli editori di provincia, sgangherati imprenditori con i tornesi che gli escono dalle tasche, ma con una scarsa visione della vera mission di un quotidiano locale. Costoro sono assai pericolosi perché a volte, senza neanche rendersene conto, avvelenano il pozzo delle notizie in maniera irrecuperabile. E per cosa? Solo per un rendiconto personale, per ricattare un politico o per colpire un rivale in affari. Ma questa condotta è una vera sciagura per un settore già in crisi. E sì, perché alla fine il lettore se ne accorge e finisce per non credere più a niente e a nessuno. Chi scrive vagheggia un giornalismo migliore. Colleghe e colleghi per piacere, lo ripeto: stiamo ai fatti.