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Sono solo canzonette utili a distrarre lo spettatore

Terminato, non senza lasciare polemiche, il Festival di Sanremo. Per giorni ci siamo assopiti ad ascoltare delle canzoni, non le migliori del panorama artistico italiano, ma per lo meno ci siamo distratti su un divano non pensando ai problemi dell’Italia e dell’Europa.

Alcune famiglie si sono unite attorno alla televisione, altre si sono divise nel tifo o scommettendo sui vincitori. Alcuni per un momento si sono sentiti dei bravi critici musicali vantando esperienza pluriennale nell’ascolto di canzonette e altri hanno rispolverato le canzoni delle edizioni passate aprendo la scatola dei ricordi. Come al solito il motto “vinca il migliore” non ha avuto seguito.

La manifestazione canora più seguita d’Italia sembra essere nata proprio per questo. Una selezione di cantanti non del tutto all’altezza, ospiti ben precisi tra cui Roberto Benigni che riesce a far risvegliare gli appisolati con i suoi monologhi. La grande selezione in fondo esclude quasi sempre cantanti di talento come è accaduto quest’anno per il pugliese Al Bano. La città di Sanremo riesce a sollevare la propria economica mantenendo salda la sua tradizione legata al settore florovivaistico e gli hotel risultano tutti pieni senza la possibilità di un posto libero. Ma, dopo tre giorni, si giunge finalmente alla domenica dove proprio gli esclusi, i perdenti, i poco votati vengono coccolati, fatti salire sul palco e apprezzati come se avessero loro vinto il Festival.

Un Festival dell’ipocrisia, dalla doppia faccia, si cerca di far salire sul palco giovani promesse, di illudere il pubblico facendo passare per buona musica delle canzonette orecchiabili e poi si dà il premio al mediocre, a colui che, ci avresti giurato, che sarebbe arrivato ultimo, a quello che non ti aspetti, al cantante che può far parlare di sé nel dopo Festival o che, proprio perché mediocre, può attrarre su di sé le critiche più disparate che alimentano le due settimane di gossip successivo alla manifestazione. Per alcuni il Festival è una manifestazione imperdibile, il conforto del divano, una cena fugace e tutti inchiodati sullo schermo a giudicare i capelli di quel cantante, i tatuaggi di quell’altro, la lunghezza del vestito di tizia o di caio. Vestiti originali che improvvisamente diventano di tendenza, catenacci che dovrebbero servire per bloccare un motorino e, invece, sostituiscono una collana. Un Festival del kitsch.

L’Italia si divide in fazioni: quelli che il Festival lo vedono e quelli che il Festival lo ignorano mostrando tutto il loro disprezzo per un evento che non gli corrisponde e non ne apprezzano neanche la musica; e, infine, quelli che dicono di non vederlo e poi conoscono tutti i testi e le canzoni e sanno anche giudicarne la qualità. Insomma, il Festival rappresenta le contraddizioni di un’Italia in cui la mediocrità spesso ha la meglio, le persone di talento sono escluse dai giochi e ciò che ha più spazio è la polemica sulla mediocrità imperante. Diciamo pure che si tratta di un ennesimo distrattore di massa in grado di proporre ciò che è scadente come prodotto di qualità e che mentre da un lato esalta dall’altro destina il vincitore al dimenticatoio.

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